“Chi sta alle stazioni non serve alle imprese”: Confindustria smonta la retorica Pd sull’immigrazione come panacea occupazionale

All’incontro dei riformisti Aleotti ha esortato a sostituire il buonismo con una selezione basata su motivazione e integrazione.

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Lucia Aleotti (foto confindustria.it)

Lucia Aleotti, vicepresidente del Centro studi di Confindustria, ha respinto il 30 novembre 2025 a Prato la narrazione dominante nella sinistra secondo cui “l’Italia ha bisogno di immigrati per colmare carenze di manodopera”, sostenendo che “all’impresa non servono quelli che stanno dintorno alle stazioni, ma chi vuole lavorare e integrarsi”.

In collegamento video all’incontro dei riformisti del Partito Democratico a Prato, Lucia Aleotti ha sferrato un attacco diretto alla retorica corrente sul ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro. “Confindustria viene spesso tirata per la giacchetta per dire che serve immigrazione, non bastano i lavoratori italiani”, ha detto, per poi ribaltare la prospettiva: “Ma all’impresa non servono quelli che stanno dintorno alle stazioni, ma chi vuole lavorare”. La sua affermazione, accolta con un applauso dal pubblico riformista, segna una rottura netta con l’approccio che considera l’immigrazione in sé come soluzione automatica alla carenza di manodopera. Aleotti ha insistito sulla necessità di selezionare “il tipo di risorse umane” in base a competenze, motivazione e capacità di integrazione, non sulla base di un principio astratto di sostituzione demografica o di emergenza occupazionale.

“Non basta dire ‘servono immigrati’: serve qualità, non quantità”

La vicepresidente del Centro studi di Confindustria ha smontato l’equazione implicita in molte posizioni del centrosinistra — secondo cui ogni nuovo ingresso è di per sé economicamente utile. “Non possiamo confondere la presenza con la produttività”, ha chiarito, sottolineando che il vero nodo non è la quantità di manodopera disponibile, ma la sua adeguatezza al sistema produttivo italiano, sempre più orientato verso digitalizzazione, automazione e transizione ecologica. “Dobbiamo parlare di competenze, non di numeri”, ha aggiunto, richiamando l’urgenza di riformare il sistema dei permessi di soggiorno per legarli a contratti di lavoro verificabili e percorsi di formazione certificati.

L’appello alle donne: priorità economica, non morale

Nel medesimo intervento, Aleotti ha ribadito che l’occupazione femminile non è “un dovere etico ma un must per la nostra crescita”. Ha ricordato che l’Italia, con un tasso di occupazione femminile al 53,8% (Istat, terzo trimestre 2025), perde competitività rispetto ai partner europei. Il messaggio è coerente con la sua critica alla narrazione ideologica: anche qui, ha detto, serve pragmatismo, non buonismo. “Investire sulle donne che vogliono lavorare è più efficace — e più giusto — che attendersi miracoli da flussi migratori non governati”, ha concluso.

La sinistra divisa tra applausi e imbarazzi

L’intervento di Aleotti ha creato imbarazzo in alcune correnti del Pd, pur essendo stato accolto con favore dall’ala riformista guidata da figure come Matteo Renzi e Stefano Bonaccini. Mentre il segretario Elly Schlein non ha commentato direttamente, esponenti della sinistra interna al partito hanno definito le parole di Aleotti “pericolosamente vicine a stereotipi xenofobi”. Tuttavia, anche voci moderate della maggioranza di governo — come il ministro Adolfo Urso (FdI) — hanno riconosciuto la validità del ragionamento, auspicando una revisione del decreto flussi basata su “fabbisogni reali, non su pressioni umanitarie indifferenziate”.

Confindustria prepara un piano per selezionare i nuovi ingressi

Entro gennaio 2026, il Centro studi di Confindustria presenterà un documento operativo per legare i flussi migratori alle esigenze settoriali del Paese. Il piano prevede l’introduzione di voucher formativi per migranti con competenze richieste (ad esempio in logistica, edilizia avanzata, meccatronica) e la creazione di un database nazionale di domanda-offerta di lavoro, gestito in collaborazione con l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal). L’obiettivo è chiaro: sostituire la logica dell’accoglienza indistinta con quella della selezione meritocratica.