Gaza City torna a essere campo di battaglia: revocate le pause umanitarie. La resistenza della Chiesa
L’esercito israeliano annuncia la fine delle tregue quotidiane nella città principale della Striscia. Oltre 63mila morti dall’inizio del conflitto, 59 nelle ultime 24 ore. Centinaia di civili si barricano nella chiesa cattolica
Le illusioni di una tregua, seppur parziale, si infrangono contro la dura realtà della guerra. Gaza City torna a essere ufficialmente una “zona di combattimento pericolosa”: con questa formula l’esercito israeliano (Idf) ha annunciato la revoca definitiva delle pause umanitarie quotidiane di dieci ore che, dal mese scorso, garantivano una fragile finestra di respiro ai civili intrappolati nel cuore della Striscia.
L’annuncio, diffuso sui social media delle forze armate israeliane, segna un punto di svolta nell’escalation del conflitto. “In conformità con la valutazione della situazione e le direttive del livello politico, a partire da oggi alle ore 10:00 la pausa tattica locale nelle attività militari non sarà applicata all’area della città di Gaza”, recita il comunicato ufficiale. Una decisione che suona come una sentenza per i circa 440 civili che hanno trovato rifugio nell’unica chiesa cattolica della città, determinati a rimanere nonostante tutto.
L’intensificazione dell’offensiva
Le operazioni militari israeliane hanno ripreso con rinnovata intensità. Droni, artiglieria pesante e aerei da combattimento hanno martellato per tutta la notte la parte settentrionale della Striscia, concentrando gli attacchi nell’area di as-Sudaniya, lungo la strada costiera vicino a Beit Lahiya. Proprio qui si sono ammassati migliaia di sfollati in fuga dalla zona nord-orientale di Gaza City, trasformando quello che doveva essere un rifugio temporaneo in un bersaglio esposto.
Il portavoce in lingua araba dell’Idf, Avichay Adraee, non lascia spazio a interpretazioni: “Non siamo in attesa. Abbiamo avviato le operazioni preliminari e le fasi iniziali dell’attacco a Gaza City. Al momento stiamo operando con grande intensità alla periferia della città”. Le parole confermano quello che i bombardamenti notturni avevano già annunciato: l’assedio finale della capitale de facto della Striscia è iniziato.
Il bilancio drammatico
I numeri del conflitto continuano a crescere con implacabile regolarità. Secondo l’ultimo bilancio diffuso dal ministero della Sanità dell’enclave palestinese, sono oltre 63mila le persone rimaste uccise nell’offensiva militare lanciata in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Solo nelle ultime 24 ore gli ospedali hanno registrato altri 59 decessi e 224 feriti, cifre che portano il totale dei morti a 63.025 e quello dei feriti ad almeno 159.490.
Tra le vittime più recenti figurano anche 23 civili che cercavano aiuti umanitari e cinque persone uccise nell’area di al-Mawasi, la cosiddetta “zona umanitaria” nel sud designata da Israele come sicura. Un paradosso amaro che evidenzia come, in questa guerra, non esistano più luoghi davvero protetti.
Al Jazeera riferisce che sarebbero almeno 41 i palestinesi uccisi dall’alba in attacchi israeliani in tutta Gaza, un bollettino quotidiano che ormai scandisce il ritmo di un conflitto senza apparente fine.
I corpi del 7 ottobre
Parallelamente all’intensificazione delle operazioni offensive, l’esercito israeliano ha annunciato il recupero da Gaza dei corpi di due persone scomparse dal 7 ottobre 2023. Uno dei due è Ilan Weiss, 56 anni, ucciso la mattina stessa dell’assalto di Hamas mentre difendeva il Kibbutz Beeri come membro della squadra di risposta alle emergenze.
La storia di Weiss racconta la complessità di un conflitto dove i confini tra vita e morte, tra presente e passato, si confondono. Inizialmente considerato scomparso, solo il 1° gennaio 2024 il Kibbutz Beeri aveva reso noto che Weiss era morto durante l’assalto e che il suo cadavere era stato portato a Gaza. Il recupero del corpo, oltre un anno dopo, rappresenta una chiusura dolorosa per una famiglia e un simbolo della determinazione israeliana a non lasciare indietro nessuno.
La resistenza della Chiesa
In questo scenario di distruzione e morte, emerge una storia di resistenza silenziosa. Farid Jubran, portavoce dell’unica chiesa cattolica di Gaza, ha dichiarato che circa 440 persone che vi hanno trovato rifugio hanno accettato all’unanimità di rimanere, nonostante l’imminente assalto israeliano. Cinque membri del clero sono rimasti con loro per assistere donne, bambini e anziani che non hanno altro posto dove andare.
La chiesa cattolica diventa così un ultimo baluardo di umanità in una città che si prepara a diventare definitivamente teatro di guerra. La decisione unanime di rimanere non è solo un atto di fede, ma una dichiarazione di resistenza passiva contro l’inevitabilità del conflitto.
Prospettive future
La revoca delle pause umanitarie segna l’inizio di una nuova fase del conflitto, caratterizzata dall’abbandono definitivo di qualsiasi pretesa di limitare l’impatto sui civili. L’Idf assicura che “continuerà a sostenere gli sforzi umanitari parallelamente alle operazioni offensive”, ma la realtà sul terreno racconta una storia diversa.
Gaza City, con le sue rovine e i suoi sopravvissuti, si prepara a un assalto finale che potrebbe ridisegnare per sempre la geografia umana e fisica della Striscia. La guerra, iniziata il 7 ottobre 2023, sembra aver trovato il suo epilogo più drammatico: la trasformazione definitiva della più grande città palestinese in un campo di battaglia senza quartiere.
Resta da chiedersi se, una volta che il fumo si sarà diradato e il silenzio avrà sostituito il fragore delle bombe, rimarrà ancora qualcosa da ricostruire o se Gaza City sarà solo un nome sulla mappa a ricordare quello che un tempo era il cuore pulsante di due milioni di persone.
