Gli anni ruggenti della Seconda Repubblica, Casini-Bertinotti-Fini “ultimi mohicani” antipopulismo

Gli anni ruggenti della Seconda Repubblica, Casini-Bertinotti-Fini “ultimi mohicani” antipopulismo
5 aprile 2016

“Che poi non capisci mai quanto i vecchi tempi sono irripetibili perche’ eravamo piu’ bravi, o solo piu’ giovani…”. L’autoironico distacco di Pier Ferdinando Casini inquadra uno scenario in cui comunque l’ex presidente della Camera ha ben chiaro come, negli anni ruggenti della Seconda Repubblica, “ci sono state speranze straordinarie in meta’ del popolo italiano” e i protagonisti della politica in quegli anni, “non sono stati capaci di capire che i partiti, diventati ormai personali, dovevano ricostruire quello che era mancato dalla crisi della Prima Repubblica”. L’occasione per una riflessione che abbraccia ben piu’ dei 12 anni di mandato sullo scranno piu’ alto di Montecitorio complessivamente totalizzati, e’ il convegno in onore di Donato Lamorte che riunisce oltre a Casini anche Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini. “Sembriamo gli ultimi dei mohicani – e’ ancora Casini – a parlare di populismo come dato ormai da accettare ma invece questa componente c’e’ sempre stata, solo che le grandi forze organizzate popolari di massa l’hanno sempre rifiutata, quella deriva e non l’hanno mai utilizzata per gonfiare il loro bacino politico”. Con la conseguenza, annota Fini, che “la politica si chiude nel Palazzo ma la societa’, arrabbiata e in conflitto, la politica la cerca e allora tornano quei conflitti che pensavamo archiviati, tra generazioni, tra nord e sud, tra chi arriva e chi c’e’ gia’, solo che con il ‘rompete le righe’ di partiti sopravvissuti a se stessi e snaturati e’ venuta meno la capacita’ di rappresentazione della societa’ e siamo scivolati in una condizione in cui i cittadini, privati della possibilita’ di partecipare attivamente iniziano a rifluire dall’impegno politico”. E i conflitti rischiano di esplodere.

O magari, per dirla con Bertinotti, “ci sono quei momenti in cui i governi sono la commissione d’affari della borghesia”. L’ex sindacalista punta il dito sulla “brutale discontinuità” nel passaggio di fasi e avverte che “senza ideologia la politica diventa miserabile competizione per il potere, trasformismo che alligna nella caduta dell’appartenenza, con il governo che diventa una calamita e la giustificazione di poter concorrere alla sua stabilita’”. In fin dei conti, ragiona l’ex leader Prc, “votiamo per il governo ma e’ escluso di poter incidere sulle politiche di governo”, e lo stesso schema si ripete in Europa “dove sentiamo questi grandi europeisti che parlano di ministri unici e mai, non a caso, di un Parlamento davvero rappresentativo”. O si ripete nei singoli Stati dove “il capo di governo che lo e’ anche di partito rende evidente la catena di comando, e il fatto che sovrano e’ solo il governo”. Casini torna piu’ indietro con la memoria, a quella fase nei primi anni Novanta, “l’epoca piu’ bella della mia attivita’ politica”, aperta si’ da Tangentopoli ma come “goccia che ha fatto traboccare un vaso gia’ colmo, con partiti diventati ormai contenitori di potere”. E con gli epigoni di Dc e Psi a fare i conti con “una figura come Berlusconi, che e’ stato – dice con il verbo al passato – talmente preponderante come personalita’ che un po’ tutti ci siamo seduti sulla rendita posizione che dava a questa parte politica. Ed eccoci alla confusione di oggi”. “La passione per la politica non si compra al mercato, ce l’hai o no”, dice Casini. E Fini rende allora omaggio alla figura di Lamorte, suo strettissimo collaboratore dai tempi della svolta di Fiuggi, come “uomo di parte, in alcuni casi anche faziosamente, ma non professionista della politica eppure con una ragione di vita nella politica”.

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Paradossalmente, a fronte di una “crisi di appartenenze valoriali”, l’ex leader di AN riconosce che “se non fosse per M5S, cioe’ per quanto di piu’ antipolitico, per un partito che e’ la raccolta dell’avversione al sistema dei partiti, che pero’ porta a votare cosi’ tante persone, saremmo alla democrazia senza demos di Dahrendorf”. Tutto questo spiega perche’ “i piu’ giovani stentano a partecipare a un dibattito politico che in molti casi si risolve nella contesa per il governo o per entrare a far parte del ceto politico tout court”. Se la domanda e’ come invertire la tendenza, Fini propone di “smetterla, tanto per cominciare, con le marmellate che se piacciono a tutti non piacciono a nessuno”. “Forse – conclude l’uomo che traghetto la destra dalla fase dell’arco costituzionale al governo – siamo nella fase che piu’ assomiglia a quella vissuta dalla generazione precedente alla mia, quando sembrava tutto finito e tuttavia si riprese partecipazione e vita attiva anche da chi magari non aveva conosciuto prima la democrazia, veniva da ben altra visione ma entro’ da protagonista in una nuova fase, non disperse il desiderio di essere cittadini partecipi. Quegli uomini scelsero nuove vie. Oggi magari si puo’ pensare di contribuire, magari con consigli e idee. Perche’ – avverte – se prevale solo la gestione del potere per il potere, allora il fermento, che c’e’ ancora, si indirizzera’ altrove, con i rischi connessi alla tentazione delle scorciatoie come alternativa alla fine della solidarieta’ e della partecipazione democratica. Anche quando si abusa della parola ‘leaderhsip’, come oggi. Perche’ oggi la politica o segue o e’ guidata ma guida poco. Ecco perche’ rimpiangiamo altri tempi”. (Agi)

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