Il migliore cannolo siciliano è solo questo, la trovate in questo minuscolo paesino: file chilometriche già dall’autostrada per provarlo

Cannolo siciliano - (limonechesimangia) - IlFogliettone.it
Il cannolo siciliano è il dolce simbolo dell’Isola tra mito, storia e artigianato. Come nasce e perché si chiama così.
“Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus”. Così, secondo la leggenda, Cicerone definì quello che oggi conosciamo come cannolo siciliano. L’idea del dolce, già antica in epoca romana, si è evoluta nei secoli partendo da una semplice cialda tubolare riempita di crema dolce. La forma originaria fu modellata grazie all’uso di canne di fiume, da cui il nome “cannolo”, mentre la ricotta veniva trasportata in fasci di canne, le cosiddette “fascedde”. Una tradizione che ancora oggi resiste, soprattutto durante le sagre locali, sfidando i divieti igienici imposti dall’Unione Europea.
L’invenzione del cannolo moderno si colloca nell’harem saraceno di Qalc’at al-Nissa, l’attuale Caltanissetta. Qui, secondo la leggenda popolare, le concubine degli emiri realizzarono per gioco – ma anche con un pizzico di malizia – un dolce dalla forma evocativa, ispirato al piacere e al culto della dolcezza. Le monache locali, dopo la caduta della dominazione araba, custodirono la ricetta e la perfezionarono, destinandola in un primo tempo alle celebrazioni di Carnevale. Così il cannolo si trasformò da gioco erotico a simbolo dolciario della cultura religiosa e popolare siciliana.
Il cannolo non è mai uno solo. Ogni parte della Sicilia ha la propria versione, con variazioni nella composizione della cialda, nella farcitura, nel grado di dolcezza e persino nella modalità di frittura. A unire le diverse scuole rimane soltanto il nome e l’irrinunciabile binomio tra croccantezza e morbidezza. La cialda, chiamata “scòccia” in siciliano, rappresenta una delle sfide tecniche più complesse, mentre la ricotta – ovina, caprina o vaccina – riflette le diverse anime del territorio.
Per lo chef due stelle Michelin Ciccio Sultano, il cannolo è una scultura commestibile, un’opera di design barocco. Nella sua versione, servita al piatto con sorbetto di mandorla e zuppa di fichi d’India, si esaltano i contrasti di temperatura e consistenza. Fondamentale, spiega, è l’acustica del morso, un croccante preciso, figlio della “pasta ubriaca” lavorata con vino e liquori. Nulla è lasciato al caso, perché un grande cannolo è prima di tutto un’esperienza multisensoriale.
Massimo Mantarro e il cannolo dell’infanzia
Spostandoci verso la Val Demone, lo chef Massimo Mantarro rievoca l’infanzia attraverso un cannolo essenziale: sottile, non eccessivamente dolce, ma carico di ricordi. Per lui, il dolce rappresenta la Sicilia intera, e il ricordo dei cannoli “imperfetti” mangiati da bambino ha oggi il sapore della nostalgia. In quelle cialde rotte, scartate dai banchi per motivi estetici, si nascondeva tutta la verità del gusto: genuinità, semplicità e amore.
A Bagheria, nella Val di Mazara, lo chef Tony Lo Coco difende la tradizione più ortodossa. La cialda viene fritta esclusivamente nello strutto e l’impasto segue dosi precise. La ricotta, in proporzione 80% pecora e 20% capra, dona una complessità aromatica che esalta la farcitura. La sua idea di cannolo è netta: croccantezza calda, ripieno fresco e dolcezza calibrata. La perfezione, sostiene, è nel rispetto della tecnica.
Una geografia del gusto, da Palermo a Ragusa
Dalla capitale alla provincia, la Sicilia è punteggiata da laboratori e pasticcerie che interpretano il cannolo in modo personale. Ogni città ha i suoi maestri, ognuno con una storia da raccontare. Dai celebri esemplari di Piana degli Albanesi a quelli più raffinati di Noto, passando per gli storici di Catania e i classici palermitani, il cannolo resta il cuore pulsante dell’arte dolciaria siciliana.
Il cannolo è molto più di un dolce. È rito, è memoria, è identità. Ogni morso racconta secoli di contaminazioni culturali, una sapienza artigianale che resiste all’omologazione. Semplice all’apparenza, ma complesso nella struttura, rappresenta l’equilibrio tra sacro e profano che definisce la Sicilia stessa. Il suo segreto? Forse sta proprio nel non avere un’unica verità, ma mille storie da scoprire e assaporare.