Le parole sono pietre, ma le azioni tardano ad arrivare. Il Consiglio europeo ha chiuso i battenti con un atto d’accusa durissimo contro Israele per la “catastrofica situazione umanitaria” a Gaza, ma i Ventisette continuano a ballare sul filo del compromesso quando si tratta di passare dalle condanne alle conseguenze concrete.
Sul tavolo di Palazzo Europa è finita una relazione esplosiva: Israele avrebbe violato l’articolo 2 dell’Accordo di associazione con l’Ue, quello che impone il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Eppure, invece di agire, i leader europei hanno scelto la via del rinvio, rimandando ogni decisione sulla revisione o sospensione dell’accordo al luglio 2025.

La denuncia senza precedenti

Le conclusioni del vertice non lasciano spazio a interpretazioni diplomatiche: “Numero inaccettabile di vittime civili”, “terribile situazione umanitaria”, popolazione “affamata” dal blocco degli aiuti. Un lessico che tradisce l’esasperazione crescente nei corridoi delle istituzioni comunitarie, dove la pazienza verso Tel Aviv sembra aver raggiunto il limite.
“Il Consiglio europeo chiede un cessate il fuoco immediato a Gaza e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi”. Un appello che arriva dopo mesi di diplomazia sottotraccia e pressioni crescenti da parte dell’opinione pubblica europea, sempre più critica verso la gestione israeliana del conflitto.

Il nodo delle sanzioni

Ma è proprio quando si passa dal piano delle dichiarazioni a quello delle azioni che l’unità europea si incrina. La proposta di rivedere l’Accordo di associazione – strumento che garantisce a Israele privilegi commerciali e cooperazione strategica con Bruxelles – divide ancora i Ventisette. Da una parte i Paesi che premono per misure immediate, dall’altra chi teme le ripercussioni geopolitiche di uno scontro aperto con lo Stato ebraico.
Il risultato è un compromesso al ribasso: “proseguire le discussioni su un eventuale seguito nel luglio 2025, tenendo conto dell’evoluzione della situazione sul campo”. Una formula che sa di presa per i fondelli, considerando che la “situazione sul campo” è già stata definita “catastrofica” nelle stesse conclusioni.

L’escalation in Cisgiordania

Non è solo Gaza a preoccupare i leader europei. Il documento finale punta il dito anche contro “l’escalation in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, a seguito dell’aumento della violenza dei coloni, dell’espansione degli insediamenti illegali e delle operazioni militari israeliane”.
Una denuncia che tocca il cuore della questione: l’occupazione dei territori palestinesi, considerata illegale dal diritto internazionale ma sistematicamente ignorata dalla comunità internazionale. I Ventisette annunciano “ulteriori misure restrittive contro i coloni estremisti”, ma anche qui i tempi restano nebulosi.

La strada dei due Stati

Nonostante le divisioni sui mezzi, l’obiettivo finale resta condiviso: “L’Unione europea rimane fermamente impegnata a favore di una pace duratura e sostenibile basata sulla soluzione dei due Stati”. Un mantra ripetuto da decenni che suona sempre più come una formula di rito, mentre sul terreno la realtà si allontana ogni giorno di più da questo scenario.
L’Europa si dice “pronta a contribuire a tutti gli sforzi per raggiungere questa soluzione”, ma la credibilità di Bruxelles come mediatore dipenderà dalla capacità di trasformare le parole in azioni concrete. Il test decisivo arriverà nel luglio 2025, quando i Ventisette dovranno finalmente decidere se le loro condanne hanno un prezzo o restano solo inchiostro su carta. La partita, insomma, è solo rimandata. Ma il tempo, per i civili di Gaza, continua a scorrere inesorabilmente.