Manovra Usa, G20 e Cop26: le sfide di Biden, alla prova del nove

Manovra Usa, G20 e Cop26: le sfide di Biden, alla prova del nove
La Casa Bianca (in inglese White House) è la residenza ufficiale e il principale ufficio del presidente degli Stati Uniti
29 ottobre 2021

“Si tratta di scegliere tra la capacità di guidare il mondo e la possibilità di farsi travolgere”. Joe Biden è arrivato in Italia con la consapevolezza di non poter sbagliare. Sono passati meno di dieci mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca, ma il presidente Usa sa già che il giudizio degli americani e del mondo intero sulla sua amministrazione dipende dalle decisioni prese a Washington, Roma e Glasgow nelle prossime due settimane. C’è infatti un sottile filo rosso che unisce la sua agenda interna, ancora in bilico a Capitol Hill, con la principale delle sfide globali che sarà al centro dei colloqui al G20 in Italia e alla Cop26 nel Regno Unito: la lotta ai cambiamenti climatici. Un fallimento in casa, significherebbe per Biden la fine dei giochi sul versante internazionale. Insomma, i tempi dell'”America is back” sembrano ormai lontani. L’aria di festa che accompagnò il suo primo viaggio europeo è stata travolta come da un uragano dagli eventi degli ultimi mesi: le disastrose conseguenze del ritiro delle truppe Usa e della Nato dall’Afghanistan e l’accordo Aukus stretto fra Stati Uniti, Australia e Regno Unito, hanno lasciato il segno e creato delle crepe nelle relazioni con alcuni alleati – su tutti la Francia – che Biden è chiamato a risanare.

Con queste premesse, il presidente americano si è messo in viaggio mostrando una serenità che, secondo fonti di stampa Usa, è solo apparente. Pur ritardando la sua partenza dagli Stati Uniti, Biden è salito sull’Air Force One senza avere certezze sull’approvazione della manovra da 1.750 miliardi di dollari che contiene anche il pacchetto da 555 miliardi da destinare alle iniziative di contenimento del surriscaldamento terrestre. Ha anche provato a forzare la mano, il presidente. Prima di lasciare la Casa Bianca ha convocato i giornalisti per dire che sì, c’era un accordo quadro per garantire sostegno a famiglie, scuole, processi di riconversione energetica, lotta ai cambiamenti climatici. Nessun cenno ha fatto, però, sulle questioni più divisive, quelle che tengono bloccato al momento il processo di approvazione, come il taglio del congedo parentale. Questioni che hanno impedito alla speaker della Camera Nancy Pelosi di convocare l’aula per il voto finale.

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Così, il “frame” evocato da Biden prima della sua partenza per l’Europa appare più come fumo negli occhi di chi, domani e domenica a Roma, dovrà cercare assieme al presidente Usa di raggiungere quell’accordo sul clima che si preannuncia tutto in salita. E non solo per i problemi di politica interna americana. Cina e India continuano a ostacolarlo. Nuova Delhi, ancora ieri, ha ribadito che stabilire obiettivi di emissioni zero di carbonio “non è la soluzione”. Il presidente cinese Xi Jinping non sarà fisicamente in Italia e pronuncerà il suo discorso in collegamento video. Lo stesso farà il presidente russo Vladimir Putin. I due capi di Stato saranno rappresentati dai loro ministri degli Esteri, ma non sarà la stessa cosa. Lo sa Mario Draghi, lo sa Joe Biden. Al Gruppo dei 20 Grandi appartengono inoltre Paesi che hanno un differente livello di sviluppo e prospettive economiche diverse.Se infatti il tema delle conseguenze del cambiamento climatico è ben presente a tutti, la vera trattativa sarà sulla calendarizzazione degli step necessari alla riduzione delle emissioni. A questo proposito – secondo quanto si è appreso – l’obiettivo resta quello deciso a Parigi, ovvero contenere il riscaldamento entro 1,5 gradi celsius. Ma dalla bozza di 11 pagine della dichiarazione finale del vertice, visionata da Bloomberg e dall’agenzia Reuters, emergono tutte le differenze che fanno del percorso che da Roma conduce a Glasgow una durissima cronoscalata.

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La data del 2050 come limite ultimo per raggiungere l’obiettivo di emissioni zero continua ad essere osteggiato da molti. Il no dell’India appare fermo, il rifiuto della Cina non negoziabile.
Pechino ha altri programmi e ha indicato nel 2060 la sua deadline. E nessun accordo ci sarebbe neppure sulla data del 2030 come termine per ridurre le emissioni di metano di almeno il 30%.
Da parte sua, l’Arabia Saudita non ha alcuna fretta di raggiungere le emissioni zero. L’Australia è contraria alla chiusura delle centrali energetiche a carbone, di cui è grande esportatrice. Argentina e Brasile non hanno alcuna intenzione di ridurre i gas serra contenendo il consumo di carne. Dal punto di vista sanitario, invece, la priorità sarà quella di dar vita a un sistema globale e multilaterale di risposta alle emergenze e alle pandemie. Per quanto riguarda il Covid, nella dichiarazione finale ci sarà un impegno forte ad aumentare la disponibilità dei vaccini, dopo l’assunzione di responsabilità di Stati, organizzazioni regionali e Big Pharma riguardo all’approvvigionamento di dosi ai Paesi meno sviluppati. Draghi conta sul sostengo di Biden, che non a caso sarà il primo dei capi di Stato ricevuti in bilaterale dal presidente del Consiglio.

E l’inquilino della Casa Bianca sarebbe pronto ad annunciare la donazione di un miliardo di vaccini ai Paesi che più ne hanno bisogno. Ma uno dei principali nodi da affrontare e superare sarà quello della distribuzione e della logistica: servono strutture, personale, catene del freddo, che in alcuni Paesi sono molto carenti. Per Biden, che al Vaticano ha in agenda anche un incontro con Papa Francesco, il summit di Roma sarà poi l’occasione per discutere di altri dossier di rilievo internazionale. Se al tavolo dei lavori saranno portate anche la crisi energetica e la minimum tax, a tenere banco nella due giorni romana saranno anche la questione iraniana e l’accordo Aukus, raggiunto dagli Usa con Regno Unito e Australia. Sul programma nucleare della Repubblica islamica è tornata ad insistere nelle ultime ore la cancelliera Angela Merkel, che ha ribadito la necessità di riportare Teheran e Washington nell’intesa siglata a Ginevra nel 2015. Biden, per la prima volta dal suo insediamento, potrebbe così trovarsi nella condizione di doversi impegnare pubblicamente e davanti ai principali leader mondiali a riportare gli Stati Uniti dentro il JCPOA.

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Di Aukus si discuterà invece soprattutto durante i numerosi bilaterali tra i leader presenti. Il più atteso è naturalmente quello previsto oggi tra il presidente Usa e il suo omologo francese Emmanuel Macron. Biden ha bisogno di recuperare la fiducia persa in Francia, che con l’Aukus ha visto trasformarsi in carta straccia un remunerativo accordo di vendita di sottomarini convenzionali a Canberra. I due leader si vedranno a Villa Bonaparte, dove si trova l’ambasciata di Francia presso la Santa Sede. Alla vigilia dell’incontro fonti dell’Eliseo hanno ricordato che sarà Biden ad andare da Macron e non viceversa. Un modo per confermare che la ferita è ancora aperta e che tocca al presidente Usa ricucirla. Insomma, quello di Biden in Europa “sarà un viaggio diverso” dal primo, per usare le parole alla Cnn di Heather Conley, direttore del Programma Europa e Russia presso il Centro di Studi strategici e internazionali. “Sono stati quattro mesi e mezzo deludenti per i nostri partner europei. E penso che ora siano giunti alla conclusione, al riconoscimento, che c’è molta più continuità nella politica degli Stati Uniti di quanto pensassero”. askanews

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