Nord-Est in fiamme: la battaglia sui terzi mandati scuote la Lega e la maggioranza
Lo scontro interno alla coalizione sul futuro di Zaia, Fugatti e Fedriga accende la tensione tra Lega e Fratelli d’Italia. Il governo impugna la legge del Trentino, Salvini grida all’ingerenza, Meloni minimizza ma prepara il terreno a un nuovo equilibrio nel centrodestra
Matteo Salvini
In principio fu il Veneto, con Luca Zaia impossibilitato a ricandidarsi per un terzo mandato a causa del limite imposto dalla legge. Ma quello che sembrava un caso isolato è diventato una crepa che attraversa tutto il Nord-Est: oggi anche Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia si ritrovano al centro della tempesta politica, e la frattura si estende fino al cuore del governo Meloni.
La scintilla è stata la decisione del Consiglio dei ministri di impugnare la legge trentina che avrebbe consentito al presidente leghista Maurizio Fugatti di correre per un terzo mandato. Una mossa che blocca anche le ambizioni di Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli, anch’egli alla seconda legislatura. La Lega ha interpretato la scelta come un attacco politico, un’ingerenza nell’autonomia delle Province a statuto speciale, tanto da spingere Salvini a definire l’atto come una violazione dell’identità istituzionale delle Regioni.
Il Cdm e la crisi interna
Il voto del Consiglio dei ministri era atteso da giorni e ha confermato i sospetti leghisti: il centrodestra è tutt’altro che compatto. Già alla vigilia, la Lega aveva rotto gli equilibri in Friuli, ritirando gli assessori regionali e aprendo formalmente una crisi di giunta. Un gesto dimostrativo, che però non è bastato a far cambiare rotta agli alleati.
In Cdm il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ha provato a difendere la legittimità della legge trentina, sottolineando come Trentino e Friuli, in quanto enti a statuto speciale, avessero la piena autonomia nel decidere le regole sui mandati. Ma a spegnere l’argomentazione è intervenuta la ministra per le Riforme Elisabetta Casellati, sostenuta da Francesco Lollobrigida (Fdi), secondo cui serve “mettere ordine” e chiarire una volta per tutte la materia con un pronunciamento della Corte Costituzionale.
Il vicepremier Antonio Tajani ha confermato il sì di Forza Italia all’impugnativa, sancendo l’isolamento della Lega su questo fronte. Matteo Salvini, da parte sua, ha ribadito la centralità delle autonomie, specie alla luce della recente vittoria del centrodestra a Bolzano, ma senza riuscire a modificare l’esito della riunione.
La posizione della premier
A chiudere il confronto è stata la premier Giorgia Meloni, che ha tirato le somme confermando l’impugnativa. Ma ha anche aperto a una possibile riflessione successiva, dopo che la Consulta avrà chiarito il quadro giuridico. Un ramoscello d’ulivo verso la Lega, che però non placa i malumori: Salvini si limita a derubricare la questione a “dinamiche locali”, ma la tensione è ormai evidente.
Il nodo Regioni: egemonia in bilico
Il fronte delle Regionali si fa sempre più accidentato. La Lega, che in passato ha costruito gran parte del suo potere proprio grazie al radicamento nel Nord, rischia ora di veder crollare il suo feudo storico. “Squadra che vince non si cambia”, ha ripetuto Salvini, nel tentativo di blindare i presidenti uscenti. Ma Fratelli d’Italia, forte della nuova centralità nella coalizione, rivendica il diritto a rivedere gli equilibri.
La proposta salviniana era semplice: offrire la Lombardia, dove la giunta Fontana ha ancora qualche anno di vita, in cambio del controllo su Veneto, Trentino e Friuli. Ma l’ipotesi non ha convinto Meloni, che sospetta manovre dilatorie e si interroga sull’affidabilità dell’accordo. Tanto che si è perfino parlato di anticipare le elezioni lombarde aprendo una crisi al Pirellone, pur di allineare il voto con le altre Regioni.
Fedriga e il futuro del Friuli
In questa scacchiera in movimento, il caso più spinoso è ora quello del Friuli-Venezia Giulia. Se la Lega decidesse davvero di andare fino in fondo, il presidente Massimiliano Fedriga potrebbe dimettersi, aprendo ufficialmente la crisi. La premier avrebbe dovuto affrontare direttamente il tema in occasione del Festival delle Regioni a Venezia, ma un’improvvisa indisposizione ha cancellato l’appuntamento.
Il faccia a faccia decisivo con Fedriga è ora atteso per giovedì a Roma. In quella sede si capirà se la Lega ha intenzione di alzare la posta o se prevarrà la linea della distensione.
Fratelli d’Italia prende tempo
Nel frattempo, Fratelli d’Italia sceglie di temporeggiare. “Prima ci sono le amministrative”, fanno sapere fonti interne. Nessuna fretta di affrontare lo scontro sulle Regionali, nessuna voglia di riaprire i dossier più delicati prima del verdetto della Consulta. L’impressione è che Fdi voglia lasciare che il tempo faccia il suo corso, aspettando che il peso della leadership di Meloni e il consenso crescente del partito spingano la Lega a più miti consigli.
Un fragile equilibrio di governo
Il solo contentino per la Lega arriva con il via libera del Cdm al disegno di legge delega per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), considerato un passo fondamentale verso l’Autonomia differenziata. Ma anche qui, Forza Italia appare fredda, mentre Fratelli d’Italia guarda con sospetto a un’eccessiva frammentazione dei poteri.
Il caso dei terzi mandati si rivela quindi solo la punta dell’iceberg di un conflitto più profondo: quello tra un partito, la Lega, che fatica a mantenere il suo peso nei territori, e un alleato, Fdi, che ambisce a diventare il baricentro della coalizione. A farne le spese potrebbe essere non solo il governo delle Regioni, ma la tenuta stessa dell’esecutivo.
La crisi sulle Regionali è un banco di prova non solo per il futuro del Nord-Est, ma per l’intero equilibrio del centrodestra. L’autonomia, da bandiera leghista, rischia di diventare il terreno di scontro su cui si ridisegnano le gerarchie interne alla maggioranza. Meloni appare intenzionata a guidare la transizione con fermezza, ma la reazione della Lega – e in particolare di Zaia e Fedriga – sarà decisiva per capire se la stagione del dominio padano è davvero finita o solo al giro di boa.