Papa Francesco a casa di Fidel Castro. Raul lavora per il dopo-Castro

Papa Francesco a casa di Fidel Castro. Raul lavora per il dopo-Castro
21 settembre 2015

Papa Francesco ha incontrato, in un’atmosfera “molto famigliare e informale”, Fidel Castro, ieri all’Avana. Il lider maximo ha lasciato il potere nel 2008 nelle mani di Raul, che, più pragmatico del fratello, sta preparando il terreno al dopo-Castro. Ma rimane l’uomo-simbolo del regime cubano, quasi il padre della patria. Tanto che, fin dal suo arrivo all’aeroporto della capitale cubana, Papa Francesco, ricevuto da Raul, ha voluto pubblicamente esprimere – suscitando le perplessità degli esuli a Miami – i suoi “sentimenti di speciale considerazione e rispetto” per Fidel. Senza strappi, però, Francesco sta promuovendo la transizione dell’isola caraibica verso il futuro. Jorge Mario Bergoglio è arrivato nell’Isla grande prima di recarsi a Washington, martedì sera, e dopo aver avuto un ruolo fondamentale, nei mesi scorsi, nella svolta dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba. La Chiesa cattolica cubana, nel corso della lunga storia della rivoluzione castrista, è stata a lungo emarginata, a tratti perseguitata. Ma nel corso degli anni si è imposta come protagonista nella transizione aperta dall’esaurirsi del regime (e dall’invecchiare dei suoi leader). Il cardinale dell’Avana Jaime Ortega, prima di essere una figura-chiave della mediazione con Obama, ha già patrocinato, negli anni scorsi, la liberazione di numerosi prigionieri politici, triangolando la strategia con il governo spagnolo e la Santa Sede.

Negli ultimi tempi, e in particolare da quando Raul Castro è tornato all’Avana da Roma, dove a maggio è stato ricevuto dal Papa, la Chiesa cattolica dell’isola è più libera che mai. La tv di Stato e il giornale ufficiale, Granma, hanno presentato a lungo l’arrivo del primo Pontefice latino-americano della storia, amico dei poveri, pastore di popolo. L’atteggiamento della Chiesa nei confronti del regime è ambivalente. I problemi non mancano. Tre dissidenti che volantinavano contro il governo alla messa mattutina del Papa sono stati fermati dopo che uno di loro è riuscito a parlare col Papa in papamobile. Le “damas de blanco”, donne vestite di bianco mogli e madri di oppositori imprigionati, volevano vedere il Papa, alla fine non ci sono riuscite. I senza-tetto dell’Avana sono invisibili. Più in generale, la Chiesa, per un verso, non dimentica le difficoltà del passato, diffida di un regime che ha negato a lungo la libertà religiosa (sancita solo dalla Costituzione del 1992), guarda con cautela all’uso di una parola, “solidarietà”, che non sempre viene esercitata, ad esempio, nei confronti dei senza-tetto. Per altro verso sa che negli ideali del socialismo e del comunismo, come dice anche il Papa, si possono trovare sintonie in favore dei più deboli. “I comunisti ci hanno rubato la bandiera dei poveri, ma è la bandiera del Vangelo”, ha avuto a dire Jorge Mario Bergoglio. Una sensibilità tanto più forte ora che si avvicina il giorno (ma deve prima terminare l’embargo, e il carcere di Guantanamo deve essere restituito a Cuba) in cui non vi saranno più frontiere con il vicino gigante Usa: il cardinale Ortega ha messo in guardia dal rischio di seguire le sirene del “dio denaro” e della “gara consumista”.

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La diversità cubana, su questo Chiesa e Governo sono quanto mai uniti, va preservata, e l’isola non può capitolare, importare un materialismo senza freno o venire dissanguato da un’emigrazione di massa dei più giovani. Concetti riecheggiati nei due incontri serali di Papa Francesco, dapprima, nella cattedrale dell’Avana, con seminaristi, religiosi e sacerdoti, poi con i giovani cubani, sotto una pioggia caraibica, nel piazzale del vicino centro culturale dedicato al sacerdote Felix Varela. Il Papa parla a braccio. Esorta religiosi e sacerdoti a preservare la povertà e la misericordia. Cita un anziano sacerdote saggio, che gli raccontava che “quando Dio manda, ad esempio ad una congregazione religiosa, un economo disastroso, è una delle migliori benedizioni, perché la libera dallo spirito della mondanità”. Il fondatore dei gesuiti sant’Ignazio, dice assicurando di non voler fare “pubblicità” al suo ordine di origine, diceva che la povertà è muro e madre della vita consacrata: “Madre perché stimola la fiducia in Dio, muro perché protegge da ogni mondanità”, afferma, e qualcuno potrebbe leggervi un accenno ai venti ultracapitalisti che spirano al di là del canale che divide Cuba dagli Stati Uniti. Ai giovani cubani, subito dopo, dice che non devono smettere di “sognare”, che un “popolo che sa costruire l’amicizia sociale ha speranza”, e che se in passato qualcuno diceva “questo è comunista, quello è cattolico praticanteà”, però tutti “lavoravano insieme per il bene comune”, che è ciò che devono continuare a fare, mente “la divisione”, “l’inimicizia sociale”, “la guerra” distruggono “le famiglie”, “i paesi”, “il mondo”.

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Snocciola i dati della disoccupazione giovanile in Europa, critica i paesi che “scartano” gli anziani, i deboli, i giovani, conclude suscitando uno scroscio di applausi quando parla della “grandezza del popolo, della patria” cubana. Se uno dei rischi più grande della svolta con gli Usa è l’emigrazione della gioventù, il Papa incoraggia i giovani a rimanere ed essere responsabili del futuro di Cuba. Un discorso, quello del Papa, che prospetta una riconciliazione per le divisioni del passato e incoraggia un futuro orgoglioso. Regime castrista e Santa Sede hanno oggi un comune interesse. Per il Vaticano però si è aperto nell’isola un ampio spazio per rilanciare l’evangelizzazione. Per Raul, che nel pomeriggio ha ricevuto Bergoglio con tutti gli onori nel Palacio de la Revolucion (presentandogli con cura l’astro nascente del partito comunista, il giovane Miguel Diaz-Canel) è importante trovare un interlocutore autorevole, dalla proiezione internazionale, e portatore di valori morali condivisibili. A questo scopo si rilegge anche il passato, mettendo in evidenza ciò che va valorizzato. Viene mostrata la Virgen del Cobre, patrona dell’isola, la cui storia si intreccia con l’abolizione della schiavitù e l’indipendenza dalla Spagna. Fidel e Raul Castro, si ricorda, studiarono dai gesuiti. Il lider maximo nel 1977 ebbe una lunga conversazione con il domenicano Frei Betto, e il libro che ne nacque, Fidel y la religion, fu un bestseller.

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Storie del passato che tornano nel presente. Nella sala stampa dell’Avana, gestita dal governo, compare, per un lungo briefing, lo stesso Frei Betto, che elogia il Pontefice “rivoluzionario”. Il Papa ha regalato al presidente Raul l’immagine della Vergine patrona. Quanto a Fidel, nell’incontro durato una quarantina di minuti a casa del leader (il figlio, Alex, è stato l’unico autorizzato a scattare una foto, data poi in esclusiva ad un’agenzia internazionale), vi è stato, ha riferito il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, “uno scambio di doni, di libri: sono persone colte, persone che riflettono e che pensano”. Fidel ha regalato al Papa il libro Fidel y la religion. “Il Papa gli ha regalato due libri di Pronzato, un autore spirituale italiano (“La nostra bocca si aprì al sorriso. Umorismo e fede” e “Vangeli scomodi” di Alessandro Pronzato, ndr.), i suoi ultimi due documenti (l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e l’enciclica Laudato si’, ndr.) e un libro di un gesuita che è stato un educatore di Fidel Castro quando era giovane al collegio dei gesuiti dell’Avana, padre Llorente”. Il gesuita morì 91enne, pochi anni fa, nell’esilio a cui lo aveva destinato il regime castrista. E Francesco ha voluto forse ricordare all’anziano Fidel che isolare la Chiesa, all’epoca, fu un errore che tutti, oggi, vogliono lasciare nel passato.

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