Il primo embrione umano su chip, per studiare farmaci

Il primo embrione umano su chip, per studiare farmaci
29 giugno 2019

Costruito il primo embrione umano su un chip: e’ un insieme di cellule staminali, capaci di auto-organizzarsi grazie alla tecnica che mima l’ambiente naturale in cui e’ immerso l’embrione, messa a punto nel Politecnico di Losanna dal gruppo di Matthias Lutolf. Descritta sulla rivista Nature Methods e condotta dall’italiano Andrea Manfrin, la ricerca e’ un primo passo verso la possibilita’ di guidare lo sviluppo delle cellule staminali per ottenere tessuti e organi per sperimentare farmaci e, in futuro, per i trapianti. Il risultato rappresenta al momento la soluzione piu’ tecnologica per riuscire a ottenere una riserva di cellule staminali senza incorrere in problemi etici. Per i ricercatori senza dubbia la cautela d’obbligo, ma e’ altrettanto chiaro il vantaggio di poter seguire da vicino il modo in cui le cellule embrionali si organizzano per formare i tessuti e gli organi.

La tecnica messa a punto nell’istituto di Bioingegneria del Politecnico di Losanna promette di fare esattamente questo: “Uno dei problemi piu’ complessi nel costruire dei tessuti al di fuori di un organismo e’ la riproduzione dei segnali molecolari nel momento giusto e nelle dosi precise”, ha osservato Luetolf, riferendosi al coro di segnali specializzati nel guidare le prime fasi dello sviluppo embrionale, chiamati ‘morfogeni’. Si e’ deciso cosi’ di imitare il modo, decisamente complesso e dinamico, in cui i segnali si concentrano di volta in volta per stimolare le cellule ad aggregarsi in una direzione piuttosto che in un’altra. E’ riuscito nell’obiettivo Manfrin, che su un chip ha imitato il modo in cui i segnali arrivano quando l’embrione si trova nella fase, molto precoce, chiamata gastrula: e’ la fase in cui l’embrione si trova a 14 giorni dalla fecondazione e nella quale le cellule cominciano a organizzarsi in tre strati, chiamati foglietti embrionari, ognuno dei quali dara’ origine a tessuti di tipo diverso.

A regolare i segnali dei quali le cellule hanno bisogno e’ una rete di minuscoli canali che, nel chip, lascia scorrere piccole quantita’ di fluido le cui concentrazioni che possono essere controllate con precisione. I ricercatori definiscono il risultato “emozionante”: ricevendo i segnali corretti si organizzano e si sviluppano in tipi differenti a seconda delle diverse concentrazioni di segnali biochimici da cui sono raggiunte. “La nostra ipotesi – ha osservato Manfrin – e’ che ingegnerizzare un sistema di segnali artificiali in un tessuto vivente possa permetterci di guidare un gruppo di cellule staminali auto-organizzate verso un obiettivo voluto. Questo – ha concluso – offrirebbe un ovvio vantaggio per ottenere tessuti e organi in laboratorio”. L’obiettivo piu’ ambizioso e al momento piu’ distante, ha concluso Luetolf, e’ “costruire in laboratorio organi per i trapianti”.

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