“Questi lavori sono troppo umili per me”: se ti rifiuti, il capo può licenziarti | Cassazione: vietato dire no a mansioni inferiori al ruolo

lavoro problemi azienda - foto (C) ilfogliettone.it

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Tantissimi i casi e le problematiche sul luogo di lavoro: il caso del “ricollocamento”, che porta anche alle decisioni in tribunale 

Le “battaglie sindacali”, si sa, esistono ed esisteranno sempre. Ma, soprattutto negli ultimi decenni, queste hanno contribuito a ottenere leggi che tutelano sempre più i lavoratori e garantiscono un ambiente più equo e sicuro. La normativa italiana, si può dire con estrema certezza, ha fatto dei passi avanti enormi per proteggere i dipendenti da abusi, soprusi e discriminazioni, introducendo regole chiare in tema di licenziamento, ferie, maternità, sicurezza e orari.

Ma, nonostante questo progresso normativo, i problemi nei luoghi di lavoro sono ancora all’ordine del giorno. Si verificano quotidianamente, infatti, dei casi di mobbing, discriminazione, sfruttamento e mancato rispetto dei diritti minimi, situazioni che molto spesso finiscono davanti ai giudici del lavoro.

E le aziende che fanno, dal canto loro? Si trovano spesso a dover riorganizzare le proprie strutture interne, portando in certi casi alla soppressione di ruoli lavorativi. Ed è proprio in questo scenario che si inserisce il complesso tema del repêchage: in poche parole, la possibilità di ricollocare un dipendente prima di procedere con un licenziamento.

Ma cosa accade quando una riorganizzazione aziendale comporta l’eliminazione del posto? La risposta arriva da una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha ridefinito gli obblighi del datore di lavoro. Scopriamo meglio il caso, e come si è concluso.

In alcuni casi spunta la “mano” della Cassazione

Partiamo dal fatto che è un’ordinanza – la n. 19556/2025 – che stabilisce che il datore di lavoro non è più tenuto a offrire soltanto masnioni equivalenti: deve cercare di ricollocare il dipendente anche in ruoli di livello inferiore, purché rientrino nella stessa categoria legale (impiegato, operaio, quadro o dirigente).

Apparentemente una garanzia in più per il lavoratore, questa disposizione può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Infatti, se il dipendente rifiuta il nuovo incarico offerto, anche se inferiore, l’azienda potrà procedere con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo che sarà molto difficile contestare. Ma cosa succede, appunto, in caso di contestazioni? La legge, anche in questo senso, è più chiara che mai.

giudici cassazione (foto wikipedia) - ilfogliettone.it
giudici cassazione (foto wikipedia) – ilfogliettone.it

O fai così o dici addio al tuo lavoro” 

Torniamo al lavoratore, dunque, che si troverà davanti a una scelta complessa. Accettare il demansionamento significa mantenere il posto, ma al costo di rinunciare a responsabilità, retribuzione accessoria e prospettive di crescita. Un passo indietro che può pesare sul morale e sulla carriera. Rifiutare, invece, significa difendere il proprio ruolo, ma con la consapevolezza che il licenziamento diventa legittimo. La Cassazione, con l’ordinanza n. 18904/2024, ha stabilito che l’onere della prova sull’adempimento del repêchage spetta al datore, che deve dimostrare di aver fatto ogni sforzo per offrire anche posizioni inferiori. Ora, con le nuove interpretazioni, questa responsabilità si fa ancora più stringente: il datore deve dimostrare non solo di aver fatto una ricerca capillare delle posizioni disponibili, ma anche di aver fatto un’offerta concreta e documentabile al lavoratore, in base a criteri oggettivi e trasparenti.

Una gestione superficiale della procedura o la mancanza di comunicazioni chiare può annullare tutto, con conseguente obbligo di reintegro del lavoratore o risarcimento. La Cassazione sottolinea, infine, che il demansionamento ha un limite invalicabile: deve restare all’interno della medesima categoria legale. Un impiegato non può essere “abbassato” a operaio, pena la nullità dell’atto per abuso o discriminazione. In sintesi, il licenziamento per motivi organizzativi resta legittimo solo se preceduto da un’effettiva verifica delle alternative. La nuova giurisprudenza sul repêchage impone all’azienda maggiore precisione, trasparenza e buona fede nell’intero processo.