Scelti esperimenti per stazione cinese. Uno è italiano

Scelti esperimenti per stazione cinese. Uno è italiano
23 giugno 2019

La ricerca italiana salirà a bordo della stazione spaziale cinese che dovrebbe essere messa in orbita entro il 2022. L’Agenzia spaziale cinese (China Manned Space Agency-CMSA) e l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico (Unoosa) hanno annunciato qualche giorno fa di aver selezionato i primi esperimenti internazionali che saranno condotti sulla stazione spaziale made in China. Delle 42 proposte presentate, ne sono state approvate 9 – che coinvolgono 23 istituzioni di 17 Paesi – di cui 6 in via definitiva e 3 con riserva.

A quest’ultima terna appartiene il progetto “BARIDI SANA – High performance Micro 2-Phase Cooling System for Space Applications” presentato da Sapienza Università di Roma, In Quattro Srl (spin off dell’Enea) e Machakos University del Kenya e di cui Fabio Santoni, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Astronautica Elettrica ed Energetica della Sapienza di Roma, è Principal Investigator. A lui chiediamo innanzitutto a cosa è dovuta l’approvazione con riserva dell’esperimento. “La riserva principale – spiega ad askanews Santoni – è dovuta al fatto che la proposta è stata presentata non solo da due enti pubblici, Sapienza e Machakos University, ma anche da un soggetto privato In Quattro, che è uno spin off di Enea e quindi le Nazioni unite ci hanno comunicato che faranno una ‘due diligence’ sulla società. Non credo che si siano problemi dal momento che si tratta di uno spin off di un ente pubblico quindi già sottoposto a tutta una serie di controlli all’interno. Altre questioni non sono state sollevate. Quindi non credo che ci saranno sorprese. I tempi della decisione? Non so, credo che tra qualche mese ci comunicheranno l’esito della due diligence”.

Un esito che, se favorevole, assicurerebbe all’Italia un posto sulla China Space Station (CSS). “Sì, si tratta di un risultato importante. E’ l’unico esperimento italiano selezionato e anche l’unico che coinvolge un Paese africano. Noi – ricorda il PI – abbiamo una lunga tradizione di collaborazione con il Kenya, che risale agli anni Sessanta con il progetto San Marco e la base di Malindi. Tra le iniziative accademiche più recenti troviamo il master in ‘Capacity Building and Astronautics’, frutto della collaborazione Sapienza e Machakos University, con il supporto dell’ASI e della Kenya Space Agency, in corso da qualche mese. Tra poco gli studenti kenioti che hanno partecipato ai corsi a Roma torneranno nel loro Paese, mentre a luglio in Kenya saranno docenti del posto a tenere corsi specifici. L’obiettivo, a lungo termine, – spiega Fabio Santoni, direttore del Master – è di creare le condizioni perché in Kenya sia strutturato un corso nel settore aerospaziale che consenta a quel Paese di avere competenze proprie e quindi di gestire autonomamente delle missioni. Abbiamo anche lanciato il primo satellite kenyano 1Kuns (1st Kenyan University nanosatellite), realizzato da un team congiunto di studenti dell’Università di Nairobi e di Sapienza, con il supporto dell’Agenzia spaziale italiana e di aziende italiane, lanciato in orbita grazie al programma Kibo-Cube delle Nazioni Unite”.

E veniamo all’esperimento “BARIDI SANA” (che in lingua swahili vuol dire “molto freddo”) pensato per testare un sistema di raffreddamento di nuova generazione per applicazioni spaziali. “Dal punto di vista concettuale – spiega Santoni – l’esperimento è molto semplice, lo è meno dal punto di vista tecnologico, aspetto che coinvolge più direttamente lo spin off del gruppo. L’idea è di sperimentare un sistema di raffreddamento di nuova generazione, basato sul fatto che quando un fluido bolle la temperatura rimane costante. Faccio un esempio, quando l’acqua bolle e noi continuiamo a scaldarla la temperatura rimane la stessa (100°) e questo perché l’energia che viene dal calore serve solo al cambiamento di fase, a trasformare cioè l’acqua in vapore, a passare dalla fase liquida alla fase di vapore. L’esperimento consiste nell’utilizzare liquidi particolari, che bollono a temperature molto inferiori (chiamati “bassobollenti”). Abbiamo sintetizzato dei liquidi che bollono intorno ai 27°. Questo fluido in ebollizione viene messo in circolo da una pompa che riesce a raffreddare in maniera molto efficace, meglio degli attuali sistemi di raffreddamento”.

“Il sistema che intendiamo sperimentare sulla stazione spaziale cinese dunque ha un peso ridotto, un ingombro minore e offre una circolazione del liquido attiva (i sistemi attuali sono passivi, funzionano per capillarità e quindi sono lenti) quindi più efficace nel dissipare il calore e in grado di tollerare diverse temperature. Quello che serve dunque è un piccolo impianto per mettere in circolazione il liquido, e che sia in grado di operare efficacemente in microgravità. E questa è una vera sfida tecnologica”. “Questo sistema – prosegue Santoni – si sta studiando anche per applicazioni terrestri, in particolare per il raffreddamento dei computer. La sperimentazione credo sia ormai in fase avanzata e non dovrebbe mancare molto alla commercializzazione. Sulla terra naturalmente è tutto molto più semplice, non solo perché è più facile mettere mano alle apparecchiature – smontare, verificare, modificare – ma soprattutto perché la presenza di peso fa sì che il liquido stia in basso e il vapore in alto. In microgravità, l’assenza di peso fa sì che il liquido e il gas si mescolino tra loro. Ecco perché è necessario sperimentare questo sistema nello spazio, visto che si tratta di un’applicazione pensata proprio per lo spazio”.

Portare l’esperimento sulla stazione spaziale cinese vuol dire avere l’opportunità di testare il sistema in microgravità per un lungo periodo. “La durata dell’esperimento sarà di qualche mese, periodo durante il quale faremo diverse prove per caratterizzare tecnologicamente diversi sistemi di funzionamento e, alla luce dei risultati, calibrare l’esperimento. Ma uno degli aspetti più importanti – conclude Fabio Santoni – rimane proprio il coinvolgimento attivo dei colleghi e degli studenti del Kenya in un’iniziativa che si configura come ‘capacity building’ in una collaborazione internazionale Italia-Kenya-Cina sotto l’egida delle Nazioni Unite e con il supporto delle agenzie spaziali dei tre Paesi”.

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