Teatro Massimo di Palermo, Vick umanizza il Parsifal

Teatro Massimo di Palermo, Vick umanizza il Parsifal
1 febbraio 2020

Può l’uomo ritrovare la sua innocenza di bambino? Guardare il mondo senza le convenzioni sociali, morali, religiose e politiche che gli adulti hanno costruito? Può attraverso la purezza dell’animo di un fanciullo ricostruire quel mondo ormai in decadenza, portarlo ad una rinascita? Le religioni oppio dei popoli? Graham Vick, regista visionario dei nostri giorni, a Palermo, al Teatro Massimo, ripropone queste domande e ne dà una risposta, disseppellendo, da strati e strati di convenzioni e luoghi comuni, la vera essenza della poetica che la musica e il testo del Parsifal di Wagner racchiudono. Il finale della sua produzione lo testimonia: un girotondo di bambini di tutte le razze, di tutto il mondo, di tutte le religioni, attorno al Puro, al Folle stupido, all’Uomo/Parsifal.

Una poetica che parla di innocenza, purezza, rinascita, ma anche del potere dell’uomo di distruggere, di costruire mezzi e tesi di prevaricazione attraverso idoli e credenze che alla fin fine risultano falsi. Se con la Teatralogia Wagner aveva compreso come le divinità altro non fossero che espressione della umanità stessa e per questo fallaci, con Parsifal cerca di ricostruire il mondo del divino attraverso quello dei suoi simboli più classici: il Graal. Ma differentemente dalla tradizione letteraria oltre che della leggenda stessa, Parsifal, l’eroe puro, senza macchia, preposto al ritrovamento del Graal, la coppa dell’ultima cena in cui Cristo versa il vino, nell’opera diviene colui che ritrova la lancia, quella usata per ferire Cristo al costato, strappandola al Male. Wagner quindi altera la leggenda dando a Parsifal l’incarico non di ritrovare il Graal, simbolo dell’alleanza tra Dio e gli Uomini, ma la lancia… simbolo del potere, potere perso da Amfort, a capo dei Cavalieri del Graal, perché ha ceduto al – potremmo dire – lato oscuro (lasciandosi sedurre da Kundry) e rifiutandosi di perpetuare il rito dell’ostensione del Graal perché questo ogni volta riapre la ferita infertagli dal Malefico Klingsor. Parsifal.

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Vick nella produzione wagneriana che ha aperto la Stagione 2020 del Teatro Massimo di Palermo, dimostra non solo di conoscere molto bene il libretto dell’opera wagneriana, riuscendone a dare una lettura moderna e al tempo stesso tradizionale, ma di non disdegnare certe incursioni cinematografiche. Excalibur, Jesus Christ Superstar, Brian di Nazareth sembrano strizzare l’occhio tra una scena e l’altra, tra un piano registico e un altro. Vick rinnova l’eterna lotta tra il Bene e il Male presente nell’opera, ma carpisce l’essenza più intrinseca dell’opera e del testo stesso. A chi il vero potere di lenire e porre termine al degrado e alle miserie del mondo: all’Uomo o alla Religione? Cosa è bene e cosa Male? In una terra di mezzo – Medio Oriente per intenderci – Ebraismo, Cristianesimo, islamismo, rinnovano la loro eterna lotta, dilaniandosi e dilaniando i popoli, sino a quando non vi giunge un puro, un innocente, “uno stupido folle” che non comprendendo l’orrore di rituali ancestrali, fugge, ma nel fuggire rinnega anche le lusinghe e la seduzione del Male e continua la sua fuga sino a quando non ritrova la strada del Bene.

Ma quale è questo bene: l’unificazione dei popoli, delle genti, al di la delle religioni, il ritrovare la purezza e l’innocenza perdute. Retorica e Antiretorica si mescolano scoprendo i punti deboli dell’essere umano e dell’essere divino. Scarnificando il più possibile la scena – grazie all’ausilio di Timothy O’Brien, i costumi di Mauro Tinti, movimenti coreografici di Ron Howell, luci di Giuseppe Di Iorio – Vick mette a nudo – nel vero senso della parola – le debolezze dell’uomo e gli efferati rituali nel nome di, e di un, Dio. Ecco quindi che la desolazione di un palcoscenico vuoto “privo” di scene diventa Deserto – deserto accoglie il “vero” spettacolo, la “vera” scenografia: la parata dei simboli delle Religioni. Israeliani in tuta mimetica e Talled, lo scialle da preghiera ebraico – sono i custodi del Graal –; un Cristo piagato con corona di spine, mantello cremisi – il re Amfortas; Uri, le fanciulle in fiore del Paradiso islamico, in abaya e così come Kundry novella Maria Magdalena – prostituta pentita, amata forse – così direbbero i Vangeli apocrifi – da Gesù.

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Ma la forza dello spettacolo è la stretta connessione tra musica, testo e azione sul palco. Un lavoro simbiotico che vede Vick completamente aderente alla visione che Omer Meir Wellber ha della musica di Parsifal. Una lettura la sua che parte anche essa dalla scarnificazione della partitura, dallo smontare e rimontare delle frasi musicali cercando di ridare alla musica wagneriana il suo potere primario fatto di suoni ovattati, trasparenze, intimi dialoghi e insieme degli strumenti. Wellber sgombra la partitura del Parsifal da inutili ed enfatici titanismi, specialmente durante la processione e il rito del Graal. L’Orchestra del Massimo segue magistralmente le indicazioni del maestro verso sonorità più rarefatte – specialmente la sezione degli archi, meno la sezione degli ottoni – e tutto a beneficio dei cantanti sulla scena, che possono così esprimere al meglio le loro vocalità. Cast omogeneo e superlativo quello di questo Parsifal.

Voci interessanti per la gamma di colori interpretativi e timbro: a cominciare dal tenore Julian Hubbard, debuttante il ruolo del titolo ma sicuro e perfettamente calato nella partitura e nella parte, al basso John Relyea, al debutto palermitano del ruolo di Gurnemanz. Granitici e coinvolgenti i suoi momenti sul palco. Tómas Tómasson, era il tormentato re Amfortas; Alexei Tanovitski, il vecchio Titurel, Thomas Gazheli, il perfido Klingsor. Unica protagonista femminile il soprano francese Catherine Hunold, una Kundry struggente e seducente al tempo stesso, splendido il duetto del secondo atto tra Kundry e Parsifal. Bene come sempre il Coro del Massimo – suggestivo nella conclusione del primo e terzo atto – e i comprimari: Elisabetta Zizzo, Sofia Koberidze , Ewandro Stenzowski , Nathan Haller, Alena Sautier, Talia Or, Maria Radoeva, Stephanie Marshall. Quindici minuti di applausi hanno segnato il successo della Prima di domenica scorsa. Tutti sul Palco da Direttore al Regista al Cast alle Maestranze tutte, musicali e tecniche, a raccogliere i frutti di uno spettacolo che segna sicuramente il nuovo corso del teatro.

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