Trump sfida Putin senza esperti: il faccia a faccia che può tradire l’Ucraina

Il presidente americano si prepara all’incontro cruciale in Alaska dopo aver licenziato migliaia di analisti. L’Europa trema, Zelensky resiste, mentre Orbán già dichiara la vittoria russa. Un vertice che potrebbe consegnare l’Ucraina nelle mani del Cremlino.

La base militare di Elmendorf-Richardson

La base militare di Elmendorf-Richardson

(fonte)

Il 15 agosto 2025 potrebbe segnare una svolta nelle relazioni internazionali. Nella base militare di Elmendorf-Richardson, a pochi chilometri da Anchorage, Donald Trump e Vladimir Putin si siederanno faccia a faccia per discutere il futuro dell’Ucraina. Ma dietro questo incontro di portata storica si cela un dettaglio inquietante: il presidente americano arriverà al tavolo delle trattative praticamente senza il supporto di analisti esperti di Russia e Ucraina, quasi tutti licenziati negli ultimi mesi dalla sua amministrazione.

La diplomazia moderna non ha mai visto un paradosso simile. Mentre il mondo intero osserva con il fiato sospeso, Trump si prepara a confrontarsi con uno dei leader più astuti della scena internazionale contando principalmente sul suo “istinto” e sulla capacità di “capire in due minuti se Putin mente guardandolo negli occhi”, come ha dichiarato lo stesso presidente americano.

La delegazione senza esperti: un azzardo senza precedenti

Il Financial Times ha rivelato un dato che getta ombre sulla preparazione americana: il Consiglio per la sicurezza nazionale, ridotto da oltre 300 a meno di 150 membri, è attualmente privo di un capo ufficiale. Mike Waltz, inizialmente nominato da Trump, si è dimesso dopo aver condiviso erroneamente informazioni militari riservate con un giornalista dell’Atlantic. Il ruolo è ora coperto ad interim dal Segretario di Stato Marco Rubio.

La situazione si complica ulteriormente considerando che il Dipartimento di Stato ha licenziato oltre 1.300 persone il mese scorso, inclusi molti analisti specializzati in questioni russo-ucraine. “Possiamo dire tranquillamente che non ci sia nessun consigliere esperto di Russia e Ucraina ad appoggiare Trump” ha deto Eric Rubin, ex diplomatico della prima amministrazione Trump.

L’Europa in allerta: “Non si può fare a meno dell’Ucraina”

Mentre Washington si prepara all’incontro con un approccio poco ortodosso, l’Europa manifesta crescenti preoccupazioni. Una portavoce della Commissione europea ha definito “prematuro” parlare di un eventuale “cattivo accordo” per l’Ucraina, ma la tensione è palpabile. Il cancelliere tedesco Merz ha organizzato una videoconferenza alla quale parteciperanno Trump e Zelensky, nel tentativo di coordinare le posizioni occidentali.

Volodymyr Zelensky, atteso a Berlino per partecipare ai colloqui preparatori, ha ribadito la sua posizione con fermezza: “Bisogna porre fine a questa guerra, bisogna fare pressione sulla Russia per una pace giusta”. Il leader ucraino esclude categoricamente la cessione del Donbass alla Russia, una posizione che potrebbe scontrarsi con le intenzioni di Trump di proporre uno “scambio di territori”. In campo anche il Vaticano. Il cardinale Zuppi puntella: “L’Ucraina non è un oggetto ma un soggetto, e sicuramente non si può fare a meno dell’Ucraina nei colloqui di pace”. Come dire deve essere presente al vertice.

Putin, il maestro della manipolazione diplomatica

La scelta di affrontare Putin senza un adeguato supporto di esperti solleva interrogativi sulla strategia americana. Il presidente russo è riconosciuto come un abile manipolatore nelle situazioni diplomatiche, capace di indirizzare i colloqui secondo i suoi obiettivi e cogliere di sorpresa l’interlocutore.

Fiona Hill, rispettata studiosa che fu consigliera di Trump sulla Russia durante il primo mandato, ha raccontato un episodio emblematico: durante la conferenza stampa congiunta tra Trump e Putin a Helsinki nel 2018, la situazione degenerò a tal punto che “presi in considerazione la possibilità di fingere una crisi epilettica per far finire tutto prima”.

Tuttavia, Trump sembra aver perso almeno parte dell’ammirazione che nutriva per il leader russo. Nelle ultime settimane si è mostrato spazientito con Putin per il suo “continuo ostruzionismo a un accordo di pace in Ucraina”, segnalando un possibile cambiamento di atteggiamento.

Le armi della diplomazia: sanzioni, dazi e minacce nucleari

Il presidente americano ha più volte sventolato la possibilità di nuove sanzioni contro Mosca, ma finora non ha agito concretamente. Alla scadenza dei dieci giorni concessi a Putin per un cessate il fuoco, invece di imporre punizioni, Trump ha annunciato proprio questo incontro faccia a faccia.

L’India ha già sperimentato la durezza della politica trumpiana, subendo dazi al 50% per i suoi acquisti di greggio russo. La Cina osserva con preoccupazione, sapendo che potrebbe essere il prossimo obiettivo delle “sanzioni secondarie” americane, anche se il vicepresidente JD Vance ha ammesso che il caso di Pechino è “più complesso”.

Il fantasma nucleare aleggia sull’Alaska

Il summit potrebbe rappresentare un’occasione cruciale per riallacciare il dialogo sulla non proliferazione nucleare. Non a caso, la sede scelta è il “punto di contatto” diretto tra Russia e Stati Uniti, teatro anche della guerra sottomarina che da anni si combatte nell’Artico per ragioni geopolitiche ed energetiche.

Sul fronte nucleare rimane in vigore solo il New Start, accordo che secondo gli esperti è ormai alle strette e destinato a scadere in febbraio. L’ipotesi di un nuovo trattato rappresenta forse l’unica carta vincente che entrambi i presidenti possono giocare per giustificare questo incontro ad alto rischio.

Orbán e la profezia della sconfitta

Nel panorama europeo, la voce più dissonante arriva dall’Ungheria. Viktor Orbán ha provocatoriamente dichiarato che “la Russia ha vinto la guerra in Ucraina”, rendendosi l’unico leader UE a non appoggiare la dichiarazione congiunta che riafferma il diritto dell’Ucraina a decidere il proprio futuro. “Gli ucraini hanno perso la guerra. La Russia ha vinto questa guerra” ha sentenziato Orbán, Primo Ministro ungherese.

Verso l’ignoto: quando l’istinto sostituisce l’expertise

A poche ore dal vertice di Ferragosto, i contorni della strategia americana restano sfocati. Trump ha promesso di impiegare “solo due minuti” per capire le intenzioni di Putin “guardandolo negli occhi”, una dichiarazione che suona più come una scommessa che come una strategia diplomatica.

L’incognita principale rimane la capacità del presidente americano di raggiungere un accordo che non rappresenti una disfatta per l’Ucraina. Con Kiev e gli europei che temono che lo “scambio di territori” significhi solo cessioni unilaterali a Mosca, il mondo si prepara ad assistere a un incontro che potrebbe ridefinire gli equilibri globali.

La storia giudicherà se l’intuito di un presidente può sostituire l’esperienza di generazioni di diplomatici. Per ora, l’Alaska attende di diventare il teatro di una delle partite geopolitiche più rischiose del XXI secolo.