Altra grana per Trump, bufera russa su Sessions. Il presidente tra due fuochi

Altra grana per Trump, bufera russa su Sessions. Il presidente tra due fuochi
5 marzo 2017

Proprio mentre Donald Trump stava godendo di commenti positivi per il suo portamento presidenziale al discorso al Congresso di martedì sera, nella sua amministrazione è esplosa un’altra bomba in salsa russa. A innescarla sono state le indiscrezioni del Washington Post, secondo cui il segretario alla Giustizia ha avuto due colloqui con l’ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, nel corso del 2016 e non l’ha rivelato durante le audizioni al Senato per la sua conferma. La minoranza democratica al Congresso ha immediatamente chiesto le dimissioni di Jeff Sessions, accusato di avere mentito sotto giuramento. I leader del partito repubblicano vorrebbero che lui non partecipasse alle indagini riguardanti le interferenze di Mosca nelle ultime elezioni presidenziali. La Casa Bianca, invece, si è schierata al 100% con Sessions che, “se necessario”, si è detto pronto a farsi da parte nelle indagini in questione. Lui però ha tenuto a precisare che “non ho incontrato alcun russo in alcun momento per discutere della campagna elettorale”.

Ecco perché per Sessions le accuse piombate su di lui “sono false e inconcepibili”. Non c’è dubbio che Sessions abbia incontrato il capo della diplomazia russa in Usa. Il punto è capire esattamente di cosa i due abbiano parlato e se Sessions lo abbia fatto in quanto senatore o in quanto presidente del comitato che durante la corsa di Trump verso la conquista della Casa Bianca forniva consulenza in materia di sicurezza nazionale. E’ su questo che si gioca probabilmente il futuro del segretario alla Giustizia Usa. Sessions ha visto Kislyak lo scorso otto settembre in quello che all’epoca era il suo ufficio dentro il Parlamento americano. Due mesi prima ci aveva parlato a un evento sponsorizzato da Heritage Foundation, un centro di ricerca conservatore. Durante la sua testimonianza alla commissione Giustizia del Senato il 10 gennaio scorso, gli fu chiesto come si sarebbe comportato davanti a prove di contatti tra membri della campagna di Trump e funzionari russi. Lui rispose dicendo: “Non sono a conoscenza di nessuna di queste attività…e non ho avuto comunicazioni con i russi”. Come allora, anche oggi il senatore democratico Al Franken chiede chiarezza di fronte alla contraddizione che emerge tra i fatti e la sua testimonianza. “C’è una nuvola nera sull’amministrazione Trump e ci sono ancora molte domande senza una risposta”, ha detto.

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Secondo il democratico del Minnesota, “il popolo americano merita di sapere la verità su cosa sia successo tra la Russia e il team di Trump e credo che abbiamo bisogno di indagini imparziali”. Sessions ha cercato di chiarire la discrepanza emersa tra la sua testimonianza e le nuove rivelazioni spiegando che non ha mai incontrato russi “per discutere questioni relative alla campagna” elettorale. La Casa Bianca si è fatta avanti per difendere il suo ministro come non aveva fatto con Michael Flynn, l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale costretto alle dimissioni per non essere stato trasparente con il vicepresidente Mike Pence sui suoi colloqui con lo stesso ambasciatore russo a Washington (parlarono delle sanzioni imposte il 29 dicembre scorso dal 44esimo presidente Barack Obama in risposta all’interferenza russa nelle elezioni presidenziali Usa). Trump ha spiegato di avere “totale” fiducia in lui. Il portavoce Sean Spicer ha detto che Sessions “ha svolto il suo lavoro” e che è stato “chiaro al 100%” durante la testimonianza per la conferma della sua nomina. Per Spicer, la colpa è dei democratici: “Continuano a premere su una narrativa falsa a scopi politici”. Come Sessions, il portavoce della Casa Bianca è convinto che il ministro “abbia incontrato l’ambasciatore in quanto membro della commissione dei Servizi armati al Senato, cosa che è esattamente in linea con la sua testimonianza”. Il punto è che il Washington Post ha contattato i 26 membri di quella commissione ma nessuno dei 20 che hanno risposto ha avuto meeting con Kislyak nel 2016. Per Nancy Pelosi, leader della minoranza democratica alla Camera, Sessions si deve dimettere perché ha mentito sotto giuramento. “Non può lavorare come capo della Giustizia del nostro Paese”.

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Il leader della minoranza democratica al Senato Chuck Schumer ha spiegato che “non c’è nulla di sbagliato nell’avere incontrato l’ambasciatore russo. Il punto è che [Sessions] non ha detto che lo ha fatto”. Secondo lui, il silenzio del segretario alla Giustizia è stato “a dir poco fuorviante”. Anche per questo Schumer ha fatto pressioni per avere un procuratore speciale “e sono sollevato dal fatto che anche alcuni membri del Gop siano della stessa opinione”. L’idea è che “se non c’è nulla da nascondere”, anche i repubblicani dovrebbero volere un procuratore speciale che indaghi sul caso russo. Kevin McCarthy, leader della maggioranza repubblicana alla Camera, ha detto che per preservare la fiducia dell’opinione pubblica sarebbe utile che Sessions non partecipasse ad indagini legate alla Russia. Lo speaker alla Camera, il repubblicano Paul Ryan, sostiene che “non c’è motivo” per il segretario alla Giustizia di non parteciparvi “a meno che l’inchiesta sia proprio su di lui”. Per Lindsey Graham, un repubblicano che si è schierato contro Trump sin dai tempi della campagna elettorale, Sessions è troppo vicino al presidente per decidere se delle accuse penali vanno o meno avanzate. “Potrebbe non esserci nulla” nei fatidici incontri tra lui e l’ambasciatore russo. “Ma se c’è qualcosa che l’Fbi crede sia punibile, allora serve di sicuro un procuratore speciale. Se quel giorno arriverà, sarò il primo a dire che serve qualcun altro oltre a Jeff”. Nel dibattito si è inserita anche la Russia. Un portavoce del ministero degli Esteri ha definito Kislyak un “diplomatico di prima classe” che ha “comunicato con colleghi americani nel corso dei decenni”.

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