Cannes, omaggio di Mario Sesti a Bertolucci: l’ultima intervista

23 maggio 2019

Dai primi successi internazionali all’avventura con Marlon Brando in “Ultimo tango a Parigi”; dagli Oscar al suo grande amore per il cinema. Presentato in prima mondiale a Cannes, nella sezione Cannes Classics, “Bernardo Bertolucci – No end travelling”, documentario di Mario Sesti sul grande regista, scomparso a novembre 2018. L’ultima intervista a Bertolucci realizzata poco più di un anno fa, quando già da tempo era in sedia a rotelle, per la serie “Cinecittà – I mestieri del cinema”.

Un omaggio a un autore che per Mario Sesti, critico, regista, autore e giornalista cinematografico, non ha eguali. Uno sguardo affettuoso e nostalgico per raccontarlo come uomo e regista, dopo aver avuto la fortuna di incontrarlo diverse volte negli anni, di parlarci e confrontarsi con lui. Mario Sesti: “Spero che la forza sia soprattutto raccontare, magari a qualcuno molto giovane che non ha visto i suoi film, cosa significa aver avuto Bertolucci, un autore che è stato modello di cinema di ricerca, di indipendenza, della nouvelle vague, tra gli anni ’60 e ’70 tra Los Angeles e Parigi, e allo stesso tempo che questo regista diventato un autore personale già a 30, 40 anni, sia stato poi quello che ha espugnato Holywood, vincendo un canestro di Oscar”.

“Non è solo una questione estetica, è anche una questione di cosa si può fare della propria vita quando si ama il cinema”. Per Bertolucci, secondo Sesti, il cinema era strumento di conoscenza. “Fare il cinema per lui era cercare di capire il mistero o le potenzialità di ciò che abbiamo di fronte e chiamiamo realtà. Secondo lui il metro migliore era usare la macchina da presa come una chiave per aprire una porta che ti fa capire delle cose”. Emergono anche aspetti inediti.

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“La moglie ha visto il film e ha detto che ci sono cose che a lui non ha mai raccontato. Per esempio che quando Sartre negli anni ’60 rifiutò di ritirare il Nobel lui pensò di fare lo stesso per l’Oscar, ma come è noto non lo fece affatto. Oppure l’aneddoto di Billy Wilder. Immaginarli alla fine degli anni 70 insieme di notte a Roma in una 500 con un’operatrice della Cgil che guida in modo pericoloso sembra un film di Wilder…, queste sono le cose che forse vengono raccontare per la prima volta in un film, poi c’è un’idea di lui, un misto di tenerezza, empatia, generosità, passione, che spesso soprattutto negli ultimi film era molto forte”.

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