Colpo alla stidda dei colletti bianchi, più di 100 arresti

26 settembre 2019

Settantacinque arresti, sequestri per 35 milioni di euro, nonché a un centinaio di perquisizioni, per un totale di circa 200 indagati. Sono i numeri della maxi operazione che coinvolge circa 300 unità della Squadra Mobile e del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Brescia, con il supporto dello Sco della Polizia di Stato e dello Scico della Guardia di Finanza, contro una cosca mafiosa di matrice stiddara, con quartier generale a Brescia, che ha pesantemente inquinato diversi settori economici attraverso la commercializzazione di crediti d’imposta fittizi per decine di milioni di euro. È in corso da questa notte con l’esecuzione dei provvedimenti emessi dalla Procura della Repubblica di Brescia, Direzione Distrettuale Antimafia, nell’ambito di un’indagine denominata “Leonessa” condotta dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato. Ma oltre all’inchiesta della procura di Brescia, c’è n’è una della Dda di Caltanissetta che ha portato a 35 arresti.

La stidda, organizzazione mafiosa che alla fine degli anni Ottanta in Sicilia si era militarmente contrapposta a Cosa Nostra rendendosi anche responsabile di efferati omicidi nei confronti di uomini dello Stato, nella sua versione settentrionale si è dimostrata capace di una vera e propria metamorfosi evolutiva sostituendo ai reati tradizionali nuovi business illeciti. L’organizzazione mafiosa, attraverso il supporto di colletti bianchi, ha permesso a una vasta platea di imprenditori di evadere il fisco per diverse decine di milioni di euro, cedendo crediti fiscali inesistenti con effetti distorsivi sull’economia reale ulteriormente condizionata dai reinvestimenti dei profitti illeciti conseguiti. L’enorme redditività del business ha determinato momenti di tensione con la cosca operante in Sicilia, il cui traffico di droga è stato inizialmente finanziato proprio dai proventi della vendita dei crediti fittizi. L’indagine ha, quindi, permesso di monitorare l’evolversi dei rapporti tra i due sodalizi che hanno, infine, siglato una vera e propria pax mafiosa, consapevoli, come affermato da uno degli indagati, che: “(?) la guerra non porta a niente (?) la pace porta a qualcosa.

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La leadership della cosca settentrionale è stata assunta da un triumvirato composto da personaggi di elevata caratura criminale che già in passato avevano ricoperto ruoli di vertice nella stidda gelese e nelle sue proiezioni lombarde. Gli stiddari, mimetizzati nel nuovo ambiente operativo, hanno messo a disposizione degli imprenditori del Nord i propri servizi illeciti che consistevano nella vendita di crediti fiscali inesistenti utilizzati per abbattere il debito tributario. L’anello di congiunzione tra i mafiosi e gli imprenditori era rappresentato dai colletti bianchi, i quali individuavano tra i loro clienti (disseminati principalmente tra Piemonte, Lombardia, Toscana, ma anche nel Lazio, Calabria, Sicilia) quelli disponibili al risparmio facile e che ora dovranno rispondere del reato di indebita compensazione di tributi. Nel breve arco temporale di un anno e mezzo, il gruppo criminale è riuscito a commercializzare crediti fiscali inesistenti per circa 20 milioni di euro, ceduti a imprenditori operanti tra i più svariati settori dell’economia.

Pur mutando il business, gli stiddari hanno mantenuto le antiche modalità mafiose nel loro quotidiano agire: pur in giacca e cravatta, sono rimasti fedeli ai comportamenti tipici della mafiosità, manifestando capacità di intimidazione nei confronti della concorrenza e di affiliati ritenuti inaffidabili, offrendo, in aggiunta ai crediti fittizi, protezione agli imprenditori che ne hanno fatto richiesta, estromettendo con violenza i partecipi delle società in cui avevano reinvestito i proventi illeciti. Le investigazioni hanno, inoltre, permesso di ricostruire le attività di reimpiego e riciclaggio, attuate attraverso società operanti, ad esempio, nei settori della consulenza amministrativa, finanziaria e aziendale, della sponsorizzazione di eventi e del marketing sportivo, del noleggio di auto, barche ed aerei, del commercio all’ingrosso, di studi medici specialistici, della fabbricazione di apparecchiature per illuminazione e della gestione di bar.

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Ecco, dunque, che le fonti di finanziamento illecito derivanti dai reati tributari diventano lo strumento per radicarsi nell’economia reale, come una vera e propria “metastasi” criminale che inquina l’ordine e la sicurezza economico-finanziaria. Ciò a scapito della parte sana dell’imprenditoria costretta a soccombere a causa della “concorrenza sleale” della criminalità organizzata. L’indagine è stata anche una vera e propria lente d’ingrandimento sulla città di Brescia. Oltre a quello, mafioso, infatti, sono emersi anche altri due filoni investigativi. L’uno riguardante il tradizionale settore delle fatture per operazioni inesistenti, per un ammontare complessivo di fatture false per 230 milioni di euro. L’altro, afferente a varie condotte corruttive, dove gli imprenditori, elargendo mazzette e/o favori a pubblici funzionari ottenevano significativi risparmi fiscali. In sintesi, l’indagine Leonessa ha permesso di deferire all’Autorità Giudiziaria circa 200 persone, ed emettere 75 misure cautelari restrittive: 15 soggetti per associazione mafiosa; 15 soggetti per indebita compensazione; 18 soggetti per reati contro la Pubblica Amministrazione; 27 soggetti per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Sono complessivamente 35, invece, le ordinanze di custodia cautelare, di cui 28 in carcere e 7 ai domiciliari, eseguite stamani dalla Polizia nell’ambito dell’operazione antimafia ‘Stella Cadente’. Sono indagati a vario titolo per associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico e spaccio di stupefacenti e detenzione illegale di armi. Le porte del carcere si sono spalancate per Bruno Di Giacomo, detto ‘Marlon Brando’, gelese, 44 anni; Giovanni Di Giacomo, gelese, 47 anni, già detenuto; Giuseppe Alessandro Antonuccio, gelese, 39 anni, già agli arresti domiciliari; Giuseppe Antonuccio inteso ‘Pallina’, gelese, 33 anni; Mirjan Ajdini ‘Emiliano o Puci’, albanese di 32 anni, già agli arresti domiciliari; Luigi D’Antoni, anche lui di Gela, 54 anni; Vincenzo Di Giacomo, di Gela, 52 anni, già detenuto in una casa di lavoro; Rocco Di Giacomo, 63 anni di Gela. Ancora sono finiti in carcere Vincenzo Di Maggio, 30 anni; Giuseppe Giaquinta, 28 anni; Luciano Guzzardi, catanese di 55 anni; Emanuele Lauretta, gelese di 35 anni, già detenuto; Emanuele Lauretta, gelese di 41 anni; Rosario Marchese, calatino da sempre vissuto a Gela, 33 anni, già detenuto. Ancora Gaetano Marino, gelese di 35 anni; Giuseppe Nastasi, gelese di 35 anni; Nicola Palena, gelese di 37 anni, già detenuto; Gianluca Parisi, gelese di 36 anni; Alessandro Emanuele Pennata, gelese di 36 anni; Paolo Franco Portelli, gelese di 20 anni; Andrea Romano, gelese di 25 anni; Filippo Scerra, gelese di 44 anni. In carcere anche Alessandro Scilio, gelese di 39 anni; Massimiliano Tomaselli, inteso ‘Emiliano’, gelese di 38 anni; Giovanni Traina, palermitano di 44 anni, trapiantato a Gela; e Giuseppe Truculento, gelese di 51 anni.

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Sono stati posti agli arresti domiciliari: Samuele Antonio Cammalleri, gelese di 32 anni; Giuseppe D’Antoni, gelese di 30 anni; Laura Cosca, gelese di 25 anni; Aleandro Famà, inteso Scarabeo, gelese di 23 anni; Benito Peritore, gelese di 43 anni, già detenuto; Calogero Daniele Infurna, gelese di 36 anni; Giuseppe Vella, palermitano trapiantato a Licata di 66 anni. Sono attivamente ricercati Salvatore Antonuccio, inteso ‘orecchie di plastica’, gelese di 42 anni; e Gaetano Simone, gelese di 48 anni. L’ordinanza è stata eseguita dai poliziotti del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, della Squadra mobile di Caltanissetta e del Commissariato di Gela, con l’ausilio del reparto Prevenzione crimine e di Unità cinofile di Palermo e Catania e delle Squadre mobili di Catania, Siracusa, Chieti, L’Aquila, Brescia e Cosenza.

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