Cura dimagrante da 1.100 miliardi per il bilancio di Eurotower

16 agosto 2014

Non solo l’Italia. Il campanello d’allarme sulla stagnazione suona per le principali economie del club dell’euro. Dopo 7 anni la Germania sperimenta il segno meno sulla crescita del Pil nel secondo trimestre, il motore della Francia continua ad essere imballato. Il risultato è che andranno riviste le stime sulla crescita per l’anno in corso. Anche alla Bce dovranno rifare i conti. Un aumento dell’1% nell’area euro per il 2014 appare oggi quasi irrealistico. Nel terzo e quarto trimestre l’economia dell’Eurozona dovrebbe mettere a segno tassi di espansione di mezzo punto percentuale.

Ancora una volta lo sguardo si rivolge all’Eurotower e a Mario Draghi. La difficoltà a uscire dalla crisi economica pone un ulteriore problema alla Bce. Una crescita ancor più modesta metterebbe altra pressione al ribasso sull’inflazione allargando il divario tra il livello dei prezzi (già rivisto in calo nell’area euro allo 0,7% nell’anno in corso) rispetto all’obiettivo fissato dalla Bce intorno al 2%. Analisti ed economisti danno per scontato che la Banca centrale europea manterrà a lungo una politica monetaria accomodante anche se la Fed americana confermerà lo stop alle misure di quantitative easing in ottobre e all’inizio del 2015 procederà al primo rialzo dei tassi di interesse. Sui mercati la domanda che inizia a circolare è se la Bce non dovrà ricorrere a nuove misure di allentamento per scongiurare nuovi rischi al ribasso per un’economia europea fragile.

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A Francoforte hanno caricato il bazooka per non correre rischi di deflazione. Il board a giugno ha varato i Tltro fino a mille miliardi di euro destinati a famiglie e imprese e ha portato i tassi sui depositi a rendimenti negativi. Inoltre Draghi ha ribadito in ogni occasione che sono allo studio ulteriori misure non convenzionali. L’orientamento della Bce tuttavia è vedere gli effetti delle decisioni prima di varare altri interventi. Nel pieno caos della Lehman Brothers, il premier cinese disse all’allora segretario al tesoro americano Henry Paulson che non basta annunciare di avere il bazooka. Occorre usarlo. L’America lanciò il programma Tarp da oltre mille miliardi di dollari per scongiurare il crac finanziario ed economico.

Anche Draghi ha già usato il bazooka. Per uscire dalla crisi del debito sovrano nell’area euro, che rischiava di far saltare paesi come Spagna e Italia, all’inizio del 2012 ha lanciato i finanziamenti Ltro, oltre mille miliardi di euro alle banche per far rientrare le tensioni insostenibili sugli spread dei paesi periferici. Grazie soprattutto a quell’intervento lo spread tra Btp e Bund è sceso da quasi 600 punti a sotto 200. La politica monetaria molto aggressiva della Bce tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 ha stroncato i rischi di fine dell’euro. La prova sono i numeri del bilancio dell’Eurotower. Senza praticare misure di quantitative easing come la Fed, la Bce di Draghi in appena 12 mesi ha portato l’attivo da 1.890 miliardi di euro a un massimo storico di 3.100 miliardi nel giugno 2012. Oltre 1.200 miliardi di euro in più.

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Un’espansione impressionante che ha portato il bilancio della Bce a rappresentare il 34% del pil nominale dell’area euro e superando di gran lungo il bilancio della Federal Reserve americana, che nella primavera del 2012 presentava attivi per 2.930 miliardi di dollari, pari al 19,5% del pil nominale americano. Da allora si registra un evidente disallineamento tra la politica monetaria della Bce e quella della Fed. L’Eurotower dal giugno 2012 a oggi ha progressivamente ridotto l’attivo, dunque ha tagliato drasticamente l’offerta di moneta. La Fed ha fatto la scelta opposta. Per sostenere l’economia a stelle e strisce con misure di stimolo, la Fed ha pompato liquidità nel sistema facendo lievitare l’attivo.

A giugno dell’anno scorso era salito a 3.255 miliardi di dollari e a marzo scorso aveva superato i 4.200 miliardi di dollari. Di questi oltre 2.400 miliardi sono rappresentati da Treasury Bond (500 miliardi in più in un anno) e 1.650 miliardi sono mbs (mortgage backed securities) emesse da agenzie con lo sponsor del governo come Fannie Mae e Freddy Mac, protagoniste negative quando esplose la bolla dei mutui subprime.

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