I repubblicani ora credono di poter vincere. Trump decisivo

I repubblicani ora credono di poter vincere. Trump decisivo
23 ottobre 2018

Tra due settimane, martedì 6 novembre, gli Stati Uniti torneranno a votare, in occasione delle elezioni di metà mandato. In gioco, ci sono i 435 seggi della Camera (dove il mandato ha durata biennale) e 33 dei 100 seggi del Senato (dove invece si resta in carica sei anni; per questo, ogni due anni si rinnova solo un terzo dell’Aula). Oltre ai seggi a Washington, sono in gioco 6.665 cariche statali e migliaia di incarichi a livello locale; 36 Stati voteranno per eleggere il proprio governatore.

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La posta politica è enorme: dal voto in sostanza dipende la governabilità del Paese nei prossimi due anni. E dopo mesi in cui i democratici sembravano nettamente proiettati verso una maggioranza alla Camera, gli ultimi segnali dai sondaggi ora fanno sperare ai repubblicani di mantenere lo status quo, ovvero il controllo sia alla Camera che al Senato. Per ottenere il controllo della Camera, i democratici dovrebbero guadagnare 23 seggi. Molti collegi sono considerati in bilico e, per questo, i democratici stanno cercando di convincere le minoranze (che votano soprattutto per loro) ad andare alle urne. Secondo il New York Times, ci sono per la Camera 75 collegi in bilico, dove vivono oltre 50 milioni di persone. Gli Stati da tenere d’occhio sono 30, dalla California a New York, dall’Iowa al Texas, da Washington alla Florida. Proprio il New York Times, oggi, scrive che l’ultimo sondaggio di una corsa in bilico in Illinois è un segnale che spiega come mai i repubblicani pensino ora di avere buone possibilità di mantenere il controllo della Camera.

Il deputato in carica, Mike Bost, ha nove punti di vantaggio sullo sfidante democratico, Brendan Kelly; due settimane fa, secondo i sondaggi di New York Times/Siena College, i due erano praticamente alla pari. Che cos’è cambiato? Il tasso di approvazione per Donald Trump: gli elettori di quel collegio, il dodicesimo dell’Illinois, erano divisi sul presidente, all’inizio di settembre; ora, il 50% approva l’operato di Trump, mentre il 43% lo boccia. I repubblicani però hanno paura di perdere due seggi ‘aperti’, ovvero senza un deputato uscente a ricandidarsi, che non pensavano potessero essere a rischio: il quinto collegio della Virginia, dove è serrata la lotta tra la democratica Leslie Cockburn, giornalista pluripremiata, e il repubblicano Denver Riggleman; si tratta di un collegio rurale dove il presidente Trump ha vinto di 11 punti contro Hillary Clinton, due anni fa.

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Simile la situazione nel quindicesimo collegio della Florida, dove Trump vinse di 10 punti: la democratica Kristen Carlson potrebbe battere il repubblicano Ross Spano. Se ne potrebbe in realtà aggiungere un terzo, il 39esimo della California, dove, dopo 26 anni, Ed Royce non si ricandiderà; al suo posto, i repubblicani hanno candidato Young Kim, di origini sudcoreane, che sarà sfidata dal democratico Gil Cisneros (repubblicano fino al 2008), veterano della Marina diventato famoso per aver vinto 266 milioni di dollari alla lotteria nel 2010 ed essere diventato un filantropo. A decidere l’esito, naturalmente, saranno i tanti elettori ancora indecisi.

Trump sarà senza dubbio decisivo, in un modo o nell’altro: potrebbe permettere al partito repubblicano di confermarsi maggioranza o spingere tutti i suoi critici ad andare a votare, contro di lui; negli ultimi giorni, il presidente ha messo l’immigrazione irregolare al centro del dibattito politico, nella speranza di indebolire i democratici, accusati di essere responsabili delle carovane di migranti che arrivano dai Paesi dell’America centrale. Ieri, per cercare di difendere la ristretta maggioranza repubblicana in Senato (51-49), Trump ha fatto un comizio in Texas per Ted Cruz, il senatore una volta nemico e definito “Lyin’ Ted”, ovvero Ted il Bugiardo, ora diventato meraviglioso, “Beautiful Ted”. La sua rielezione, infatti, non è scontata contro il deputato democratico Beto O’Rourke, in svantaggio di 7 punti nei sondaggi.

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Sulla carta, anche in Senato i democratici potrebbero riconquistare la maggioranza, ma hanno soprattutto da perdere dal voto di novembre: solo 9 dei 33 seggi in palio sono difesi dai repubblicani, mentre gli altri sono al momento occupati dai democratici (due, in realtà, sono occupati da indipendenti, che però in Aula votano con i democratici). Dieci seggi democratici da difendere, poi, sono in Stati dove il presidente Donald Trump ha vinto nel 2016. Dei 9 seggi in mano repubblicana, solo pochi sono quelli dove esiste una concreta possibilità di vittoria dei democratici. Se si dovesse arrivare a un Congresso diviso, le possibilità di approvare leggi di una certa importanza sarebbero vicine allo zero.

Tra i candidati repubblicani, sono sempre di più quelli simili a Trump, sostenuti da Trump: alle primarie, solo in 3 occasioni su 34 ha vinto un politico che non aveva ricevuto l’endorsement del presidente. Tra i democratici, si fanno largo i giovani e i progressisti, come Alexandria Ocasio-Cortes, la socialista che ha battuto un influente deputato alle primarie di un collegio di New York; Andrew Gillum, che corre per la carica di governatore della Florida, e Stacey Abrams, che cercherà di diventare la prima donna di colore a conquistare la carica di governatore, nel suo caso della Georgia, dove questa sera la attende un dibattito contro il repubblicano Brian Kemp. Con loro, si fa spazio la diversità etnica. Il 2018 è certamente l’anno delle donne. A queste elezioni, sono candidate al Congresso 257 donne, un record. Altro risultato senza precedenti: le 235 vittorie di una donna alle primarie; nel 1970, furono solo 25. Numeri record anche per le donne che corrono, nei vari Stati, per la carica di governatore.

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