Elezioni: partiti allo scontro, Mattarella per ora alla finestra

3 febbraio 2017

Il sistema politico italiano sta vivendo una fase di transizione molto complessa e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – pur non venendo meno al suo ruolo di ‘supervisore’ e, quando occorre e gli è permesso dalla Costituzione, di arbitro – rimane da parte, lasciando ai partiti, alle forze in campo tutta l’autonomia e l’indipendenza possibile per rimodellarsi, ridefinirsi, assumere una nuova veste. E prendere decisioni. E’ questo lo sfondo dell’attuale dibattito politico, incentrato sul quando andare alle elezioni politiche. Tema emerso in maniera dirompente all’indomani della sconfitta al referendum del progetto di riforma costituzionale di Matteo Renzi e, ancora, dopo la bocciatura (anche se parziale) dell’Italicum, sempre di matrice renziana, da parte della Consulta. Un dibattito, che spesso prende forma di uno scontro vero e proprio, che vede da una parte i sostenitori del ‘voto subito’ quale che sia la legge elettorale – uno schieramento politicamente illogico, che vede insieme Pd di Renzi, M5S, Lega Nord e Fratelli d’Italia – e dall’altra chi punta a ritardare il voto a dopo l’estate, se non a scadenza naturale della legislatura, nella primavera del 2018, sostenendo la necessità di avere un sistema di voto omogeneo per Camera e Senato. Senza dimenticare lo scontro in atto all’interno del Pd, con i big storici del partito all’attacco del segretario ex premier.

QUEST’ULTIMA è l’indicazione data dal capo dello Stato nei suoi recenti interventi – sia pubblici che evidentemente anche privati – come il messaggio degli italiani a fine anno. Detto questo, come si diceva, il capo dello Stato non va oltre, lasciando ai partiti e in ultima istanza al Parlamento l’indicazione della strada elettorale da seguire. Atteggiamento diverso da quello tenuto, durante il suo mandato e oggi da presidente emerito, da Giorgio Napolitano. L’ex presidente della Repubblica si è trovato ad affrontare il momento della drammatica crisi economica mondiale che ha investito il nostro Paese e – complice forse anche il suo carattere – ha più volte sollecitato le forze politiche, gestendo dal 2011 al 2013 quattro premier (Berlusconi, Monti, Letta e Renzi), ad andare verso le riforme necessarie per il rilancio dell’Italia. Ieri l’ultimo intervento, che ha provocato non poche polemiche, nel quale ha perorato la data del 2018 per le elezioni, sostenendo che non si va alle urne anticipatamente per mera tattica politica ma solo se esiste un motivo serio. Un attacco alla posizione assunta da Renzi. Insomma un Napolitano che sembra continuare a perseguire il suo ‘progetto di riforma’, avviato durante gli anni al Colle.

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DIVERSO evidentemente l’atteggiamento tenuto da Mattarella, che non ha mostrato di avere un progetto – pur sollecitando il mondo politico su molti temi – quanto di avere come compito principale quello di ascoltare, nel caso aiutare, i progetti degli altri. Progetti che ovviamente debbono andare verso il bene comune. Non tocca a lui oggi pronunciarsi, anche perché in ogni caso la legislatura è al termine e oggettivamente si parla di pochi mesi di differenza fra il ‘voto subito’ e il voto dopo l’estate o a scadenza naturale di legislatura. Senza dimenticare che se si andasse alle urne a scadenza (precedenti elezioni svolte il 25-26 febbraio 2013) le Camere verrebbero sciolte comunque tra dicembre e gennaio. Certo, sono questi pochi mesi il terreno di scontro fra i partiti ma la situazione del Paese, ancorché difficile, non è quella in cui si è trovato a lavorare Napolitano.

ANCHE i contrasti con l’Unione europea sui nostri conti pubblici sembrano essere più di maniera che di sostanza. E comunque utilizzati dalle forze politiche per fare battaglia. Un quadro non drammatico quindi che può permettere a Mattarella di attendere lo sviluppo del dibattito. E attendere forse anche, per esprimere o ribadire il suo pensiero, la pubblicazione delle motivazioni della sentenza sull’Italicum. Insomma un Mattarella che non manca di ribadire, anche nei suoi colloqui privati, come ci sia la necessità – prima di andare al voto – che le leggi elettorali di Camera e Senato (che non sono mai state uguali, è bene ricordarlo) siano omogenee, ispirate allo stesso principio. E come non si debbano dimenticare gli importanti appuntamenti internazionali che attendo il nostro Paese nei prossimi mesi, ai quali non sarebbe produttivo presentarsi con un governo dimissionario e senza poteri. Ma, anche questo ripete il capo dello Stato, se le forze politiche e di conseguenza il Parlamento esprimeranno la volontà di andare al voto se ne prenderà atto. G. Min.

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