Israele accetta il ritiro da Gaza: colloqui decisivi lunedì a Sharm el-Sheikh
Trump annuncia la svolta dopo il sì condizionato di Hamas. Netanyahu: “Libereremo tutti gli ostaggi in una volta”. Decine di migliaia in piazza a Tel Aviv dopo 729 giorni di prigionia.

Dopo quasi due anni di conflitto e 67mila vittime palestinesi, Israele ha accettato la linea di ritiro iniziale proposta dagli Stati Uniti. L’annuncio arriva da Donald Trump su Truth Social, che conferma il primo passo concreto nei negoziati dopo il sì condizionato di Hamas al piano di pace americano. “Quando Hamas confermerà, il cessate il fuoco entrerà in vigore immediatamente, inizierà lo scambio di ostaggi e prigionieri”, ha dichiarato il presidente Usa, promettendo di “creare le condizioni per la fase successiva del ritiro”.
La svolta giunge a pochi giorni dal secondo anniversario degli attacchi del 7 ottobre 2023, mentre l’Idf ha rallentato le operazioni militari nella Striscia. La conferma ufficiale è arrivata in serata attraverso un videomessaggio del premier Benjamin Netanyahu, che ha tuttavia ribadito le linee rosse israeliane: l’esercito non si ritirerà completamente dalla Striscia e Hamas “sarà disarmato, diplomaticamente tramite il piano di Trump o militarmente da parte nostra”. Una posizione che delinea i margini della trattativa in corso, mentre crescono le pressioni internazionali per porre fine a una guerra che ha devastato Gaza.
Le trattative decisive sono convocate per lunedì 6 ottobre a Sharm el-Sheikh, dove siederanno al tavolo le delegazioni di Hamas e Israele. Quest’ultima sarà guidata dal ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, affiancato dall’inviato speciale Usa per il Medio Oriente Steve Witkoff e da Jared Kushner, genero di Trump. Il ministero degli Esteri egiziano ha confermato che i colloqui si concentreranno sui “termini e dettagli dello scambio di tutti gli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi, in conformità con la proposta del Presidente Trump”.
Netanyahu rivendica la strategia della pressione militare
“Invece di Israele isolato, è Hamas ad essere isolata”, ha dichiarato Netanyahu in una nota ufficiale, rivendicando l’efficacia della strategia israeliana. Il premier ha respinto le critiche di chi sostiene che gli ostaggi avrebbero potuto essere liberati molto prima: “Questa è semplicemente una bugia. Ciò che ha portato al cambiamento di posizione di Hamas è stata solo la pressione militare e diplomatica che abbiamo esercitato”.
Netanyahu si è detto fiducioso sul risultato finale: “Ci stiamo avvicinando a un risultato importante. Spero di potervi annunciare il rilascio di tutti i nostri ostaggi in un’unica volta”. Il primo ministro ha rivelato di aver dato istruzioni all’Idf “diverse settimane fa” di entrare in Gaza City, la roccaforte di Hamas, coordinando parallelamente con Trump “una mossa diplomatica che ha immediatamente ribaltato la situazione”.
L’urgenza di chiudere l’accordo è palpabile. Netanyahu ha incaricato il team dei negoziatori di definire i dettagli tecnici “in pochi giorni”, citando le parole di Trump: “Non tollereremo ritardi”. Sulla seconda fase del piano, il premier è stato categorico: “Hamas sarà disarmata e Gaza sarà smilitarizzata: in un modo o nell’altro ci riusciremo”.
Tel Aviv in piazza per i 48 ostaggi dopo 729 giorni
Mentre la diplomazia lavora a ritmi serrati, decine di migliaia di israeliani si sono radunati nella Piazza degli Ostaggi di Tel Aviv per chiedere il rilascio dei 48 ostaggi ancora trattenuti a Gaza dopo 729 giorni di prigionia. Le manifestazioni, replicate in altre località del Paese, riflettono la pressione crescente dell’opinione pubblica israeliana sul governo Netanyahu, che spera di annunciare il ritorno degli ostaggi “nei prossimi giorni della festa di Sukkot”.
L’accordo in discussione prevede uno scambio complessivo che coinvolgerebbe tutti gli ostaggi israeliani, sia vivi che caduti, e un numero imprecisato di prigionieri palestinesi. La presenza dell’Egitto come mediatore e ospite dei colloqui sottolinea il ruolo cruciale del Cairo nel facilitare il dialogo tra le parti, dopo mesi di stallo nelle trattative indirette.
