Meloni ed Erdogan: firmati dieci accordi, verso interscambio di 40 miliardi

Recep Tayyip Erdogan e Giorgia Meloni

Recep Tayyip Erdogan e Giorgia Meloni

Villa Pamphili si trasforma per un giorno nel centro delle relazioni euro-mediterranee. Stretta di mano, sorrisi e accordi commerciali blindano l’asse Roma-Ankara, in un vertice che segna un cambio di passo nelle relazioni bilaterali. Dieci intese firmate ieri tra la premier Giorgia Meloni e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ridisegnano la mappa degli interessi condivisi, dal commercio alla difesa, dalla tecnologia all’energia.

“Vogliamo passare da 30 a 40 miliardi di dollari”, scandisce Meloni in conferenza stampa, fissando l’asticella degli obiettivi commerciali a un livello mai raggiunto prima. Numeri che fanno già brillare gli occhi degli operatori economici: il commercio bilaterale ha toccato quota 32 miliardi nel 2024, balzando del 15% in un solo anno. L’Italia consolida così la sua posizione di quinto partner commerciale della Turchia e secondo in Europa dopo la Germania, in un matrimonio d’interessi che coinvolge oltre 620 imprese dei due Paesi.

Scacchiere geopolitico: dal Mar Nero a Gaza, l’intesa che conviene a entrambi

Mentre il mondo brucia, Roma e Ankara tessono la tela di un’alleanza che va ben oltre il business. Con l’Ucraina in fiamme, Gaza sull’orlo del baratro umanitario e il Mar Rosso diventato teatro di tensioni crescenti, i due Paesi scoprono l’urgenza di parlare con una voce più forte. Sul tavolo del vertice, insieme ai contratti milionari, anche i dossier scottanti della sicurezza mediterranea e dei flussi migratori. “Abbiamo condiviso preoccupazioni comuni su difesa e sicurezza”, ammette Meloni, rimarcando l’esistenza di un dialogo “diretto e franco” con Erdogan.

Quando ringrazia il presidente turco per “l’opera di mediazione” sul fronte ucraino “e sulla sicurezza alimentare”, la premier italiana manda un messaggio chiaro: la Turchia non è più solo un mercato, ma un partner strategico indispensabile. Il leader turco, dal canto suo, rivendica il ruolo di mediatore globale: “La Turchia continuerà ad essere impegnata per ogni sforzo possibile” sul fronte ucraino, ribadisce con tono solenne, confermando “il sostegno all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina”. Parole che consegnano ad Ankara il duplice ruolo di interlocutore di Mosca e difensore dell’ordine internazionale, in una partita diplomatica che vede la Turchia sempre più protagonista.

Il bottino del vertice: droni, fibra ottica e miliardi di investimenti

Una pioggia di accordi inonda il vertice italo-turco, in una girandola di firme che attraversa settori strategici dell’economia. Dalle sale di Villa Pamphili escono intese che promettono di ridisegnare la mappa della collaborazione bilaterale. Sul fronte difesa, spicca l’accordo tra Leonardo e la turca Baykar (guidata dal genero di Erdogan) per una joint venture sui droni da guerra. Un matrimonio ad alta tecnologia che vedrà nascere in Italia una fabbrica di velivoli senza pilota per sorveglianza e attacco, con il mirino puntato sul mercato europeo. Rivoluzione in arrivo anche nelle telecomunicazioni: Tim Sparkle e Turkcell lanceranno “una dorsale digitale lunga 4.000 chilometri” che attraverserà il Mediterraneo come un ponte invisibile tra Europa e Asia.

Nel pacchetto anche un memorandum per ridisegnare i corridoi commerciali in chiave TEN-T (Trans-European Transport Network), mentre Cassa Depositi e Prestiti stringe accordi con i colossi bancari turchi TKYB e Türk Eximbank per aprire nuovi canali di finanziamento agli investimenti incrociati. Non mancano le intese su spazio, cultura e politiche giovanili, in un abbraccio istituzionale che coinvolge anche l’Agenzia Spaziale Italiana e il Parco Archeologico di Roma.

Medio Oriente e Libia: le divergenze restano, il dialogo pure

Sullo sfondo del vertice, i crateri di Gaza e le sabbie mobili della Libia. Difficile trovare totale sintonia su dossier che vedono posizioni storicamente diverse, ma la diplomazia del business aiuta a costruire ponti anche sui terreni più scivolosi. “A Gaza la situazione è sempre più tragica”, ammette Meloni, cercando un equilibrio diplomatico nel sostenere “gli sforzi dei Paesi arabi” e invocando “un piano di ricostruzione credibile” insieme a “un quadro di pace duraturo”. Parole che tentano di non urtare la sensibilità di un interlocutore che sulla questione palestinese mantiene posizioni di fuoco.

Per Erdogan, infatti, resta “priorità” il cessate il fuoco immediato a Gaza, e nei corridoi di Villa Pamphili non ha fatto mistero di voler continuare a dialogare con Hamas, posizione che mette più di un brivido agli alleati occidentali. La partita libica vede invece convergenze più marcate. “Continueremo a collaborare su lotta a immigrazione irregolare”, garantisce il sultano turco, consapevole che il controllo dei flussi migratori rappresenta una delle chiavi per far digerire all’Italia l’influenza crescente di Ankara in Tripolitania.

Dal “dittatore” all’abbraccio: la svolta nei rapporti Roma-Ankara

Era il 2021 quando Mario Draghi definiva Erdogan “un dittatore”, scatenando un terremoto diplomatico tra Roma e Ankara. Appena quattro anni dopo, la premier Meloni accoglie con ogni riguardo il presidente turco. Un cambio di rotta repentino che fotografa il nuovo corso italiano e l’abilità di entrambi i Paesi nel mettere da parte le divergenze quando in gioco ci sono interessi strategici. A suggellare il disgelo, l’invito ufficiale lanciato dal leader turco: “Desidero ospitare il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ed il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel prossimo periodo”. Un segnale che va oltre la cortesia diplomatica.

Dalle opposizioni si levano voci critiche, che ricordano l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, principale oppositore di Erdogan. Ma le critiche rimbalzano sui vetri blindati delle limousine presidenziali che nel pomeriggio hanno condotto il presidente turco prima in Vaticano e poi al Quirinale.
“Un nuovo capitolo nelle relazioni bilaterali”, lo definisce l’ambasciatrice turca a Roma, Elif Comoglu Ulgen. Forse qualcosa di più: l’avvio di un’alleanza tra due potenze mediterranee che, nell’incertezza globale dell’era Trump, cercano di ritagliarsi uno spazio di influenza comune dalla Libia ai Balcani, dal Mar Nero al Medioriente.