Nomine Ue, processi paralleli a Consiglio e Europarlamento. Italia (al momento) fuori da giochi

Nomine Ue, processi paralleli a Consiglio e Europarlamento. Italia (al momento) fuori da giochi
Parlamento europeo
8 giugno 2019

Si sono incontrati in una cena di lavoro a Bruxelles, al Palais d’Egmont, ospiti del premier belga uscente Charles Michel, i sei primi ministri designati dai tre partiti politici europei più importanti (Ppe, Socialista e Liberale) come “coordinatori” per negoziare sui candidati alle nuove nomine ai vertici Ue (i futuri presidenti della Commissione, del Consiglio europeo e della Bce, e il nuovo Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune). I sei primi ministri coordinatori sono il croato Andrej Plenkovic; e il lettone Krišjnis Kariš per il Ppe, l’olandese Mark Rutte e lo stesso Charles Michel per i Liberali, e poi lo spagnolo Pedro Sanchéz e il portoghese Antonio Costa per i Socialisti.

Nel frattempo mercoledì scorso, sempre a Bruxelles, c’è stato un importante primo tentativo di costruire una maggioranza europeista e “progressista” al Parlamento europeo, con una riunione dei leader dei quattro gruppi politici più importanti dell’Emiciclo: il Ppe (179 seggi), il gruppo S&D (153); l’Alleanza dei Liberali (Alde, 106) e i Verdi (74). Tutti insieme, avrebbero una robusta maggioranza di 512 seggi su 751, ben oltre la barra della maggioranza assoluta (376), e dunque in grado di reggere bene anche di fronte ad eventuali defezioni, soprattutto dall’interno del Ppe (in particolare da parte dei sovranisti del Fidesz ungherese di Viktor Orban, o di altre forze più di destra, contrarie alla “maggioranza progressista”).

L’idea che unisce i quattro gruppi è quella di elaborare, attraverso un intenso negoziato fra loro, una sorta di agenda delle priorità politiche (una “roadmap”) per la nuova legislatura, in base alla quale dare la fiducia alla prossima Commissione. Questo metodo, nelle intenzioni, dovrebbe permettere di evitare di “impiccarsi ai nomi” dei candidati alla guida dell’Esecutivo comunitario. Il candidato migliore sarebbe quello più competente e più convincente nell’adottare e attuare quelle priorità. I leader dei partiti attorno al tavolo mercoledì (Manfred Weber per il Ppe, Udo Bullmann per S&D, Ska Keller e Philippe Lamberts per i Verdi, e Guy Verhofstadt per i Liberali, accompagnato da Nathalie Loiseau, capodelegazione Lrem, la lista del presidente francese Emmanuel Macron) si sono accordati sul metodo e il calendario di lavoro: due coordinatori per ciascuno dei quattro partiti elaboreranno l’agenda strategica in ciascuno dei diversi settori che saranno individuati come prioritari: economia, clima e ambiente, commercio, politica estera, democrazia e stato di diritto.

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La prima riunione di questo gruppo di lavoro è prevista per mercoledì prossimo, 12 giugno. Il giorno dopo dovrebbero riunirsi di nuovo i capigruppo. L’obiettivo è arrivare a elaborare e chiudere entro l’inizio della settimana successiva (quindi il 17 giugno) un documento comune, la “roadmap”. I due processi per ora paralleli, quello dei sei primi ministri sull’individuazione dei candidati e quello dei leader dei quattro gruppi politici sul programma di legislatura, sono destinati a convergere. La “roadmap” sarà presentata ai capi di Stato e di governo, in modo che possano tenerne conto durante le discussioni al successivo Consiglio europeo del 20 e 21 giugno. Sui candidati, si riparte dalla serata del 28 maggio, quando il vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dei Ventotto ha respinto la richiesta del Parlamento europeo di designare il candidato alla guida della Commissione esclusivamente fra gli “Spitzenkandidat” (candidati capilista) indicati dai partiti politici europei prima delle elezioni. Lo stesso vertice Ue si era poi impegnato, sebbene non in modo formale, a rispettare la parità di genere, designando fra i candidati ai quattro posti di vertice almeno due donne.

Intanto, si è sensibilmente rafforzata la posizione dell’attuale commissaria alla Concorrenza, la danese Margrethe Vestager, per la corsa alla guida della Commissione. Perché è stata un’ottima commissaria alla Concorrenza in questi cinque anni (anche se la Corte di Giustizia ha bocciato alcune sue decisioni), perché ha eccellenti doti di comunicazione, e poi perché è liberale (e i Liberali sono il gruppo che ha incrementato di più i propri seggi in queste elezioni europee, da 68 a 105) ed è una donna. Vestager, inoltre, ha una peculiarità che la distingue: non ha partecipato alle elezioni come gli “Spitzenkandidat” degli altri partiti europei, ma si è manifestata come candidata alla presidenza della Commissione una decina di giorni prima del voto, partecipando poi anche a nome dei Liberali al dibattito finale fra i candidati e a quello della notte elettorale di Bruxelles.

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Si può presupporre che, almeno come posizioni di partenza, i premier negoziatori del Ppe e dei Socialisti sosterranno gli “Spitzenkandidat” dei propri partiti europei, rispettivamente il tedesco Manfred Weber e l’olandese Frans Timmermans. Non è chiaro, invece, quello che faranno i Liberali, e in particolare quale sia il gioco che sta giocando Macron, che è una specie di “outsider” della famiglia liberale. Per Macron, sostenere uno “Spitzenkandidat” sarebbe contraddittorio rispetto alla sua fortissima opposizione alla pretesa del Parlamento europeo di imporre ai leader dell’Ue i suoi candidati per la guida della Commissione. Ma Vestager, anche se il Parlamento la considera come uno degli “Spitzenkandidat”, in realtà non lo è a tutti gli effetti, e questo potrebbe essere un elemento determinante per ottenere l’appoggio del presidente francese. D’altra parte, il presidente francese ha già praticamente e pubblicamente escluso che Weber possa ambire alla guida della Commissione, non avendo i requisiti di esperienza di governo necessari. E ha riconosciuto che invece quell’esperienza ce l’hanno Vestager e Timmermans.

E anche, ha aggiunto, Michel Barnier, il negoziatore capo dell’Ue per la Brexit. Potrebbe essere Barnier, il vero “dark horse” su cui punta Macron. Non solo è il simbolo dell’unità e della determinazione dei governi dell’Ue a difendere gli interessi dell’Unione di fronte al Regno Unito, ma ha competenza ed esperienza senza pari: quattro volte ministro francese, agli Esteri, agli Affari europei, all’Agricoltura e all’Ambiente, e due volte commissario europeo, alle Politiche regionali e al Mercato unico. E potrebbe essere il candidato di compromesso ideale, anche perché politicamente appartiene al Ppe, che resta comunque la prima forza dell’Europarlamento. Naturalmente, ci sono anche tutte le altre nomine da decidere. E’ un pacchetto che si gioca su equilibri geografici, politici, di genere (almeno due donne) e anche di dimensioni dei paesi. Ma trovare un’intesa fra i governi sul candidato alla successione di Jean-Claude Juncker, e farlo con la garanzia che abbia il sostegno della maggioranza assoluta del Parlamento europeo (che lo dovrà “eleggere”), sarebbe un grande passo avanti, decisivo per riempire anche tutte le altre caselle. askanews

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