Sotto accusa la magistratura: Meloni denuncia il “disegno politico” contro l’esecutivo
Il fronte politico si compatta e si infiammano le file della maggioranza e dell’opposizione, a seguito di nuove dichiarazioni che riaccendono le polemiche sulle intenzioni della magistratura
Giorgia Meloni
Nel pieno dell’esame parlamentare sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei membri del governo implicati nel caso Almasri, la premier Giorgia Meloni si erge a baluardo della difesa istituzionale, marcando un netto affondo contro la magistratura e rilanciando la sua posizione con fermezza. Nel giorno in cui la Camera dei Deputati inizia a valutare le accuse dirette a due ministri e a un sottosegretario, Meloni non lascia spazio a dubbi: la gestione del rimpatrio del generale libico è stata condotta nel pieno rispetto delle leggi e nell’interesse della sicurezza nazionale.
Meloni contro la magistratura: “Un disegno politico”
Meloni denuncia un “disegno politico” dietro alcune decisioni della magistratura, puntando soprattutto il dito contro le indagini legate ai temi dell’immigrazione, croce e delizia del suo esecutivo. Con un linguaggio diretto e senza fronzoli, la premier afferma di avere “messo in conto eventuali conseguenze” della riforma della giustizia che procede “a passi spediti”. Ribadisce con decisione la sua conoscenza di quanto avviene nel governo, contrapponendosi ai precedenti esecutivi: “Non sono Alice nel Paese delle Meraviglie, so quello che fa il mio governo, diversamente da chi faceva finta di non sapere”.
Nel corso di un’intervista al Tg5, la premier tiene a rafforzare una posizione espressa già nei giorni scorsi: “Considero surreale la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano, che hanno agito nel rispetto della legge e per tutelare la sicurezza degli italiani”. Una linea che il centrodestra si prepara a riaffermare in vista del voto di settembre sul caso Almasri.
La maggioranza si chiude a difesa dei ministri
Sul piano parlamentare, fra le fila della maggioranza prevale la cautela ma anche una compattezza solida: il centrodestra annuncia il voto per il diniego delle autorizzazioni a procedere nei confronti di Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano. I protagonisti della maggioranza insistono sulla legittimità degli atti compiuti, sottolineando che ogni misura è stata adottata “nel rispetto della legge e per tutelare la sicurezza degli italiani”. Sui banchi dell’opposizione, invece, si moltiplicano le critiche, con inviti pressanti alla premier a riferire in Aula.
Il pericolo di un secondo filone d’inchiesta: la posizione di Giusi Bartolozzi
L’inchiesta sul caso Almasri potrebbe allargarsi a un secondo filone, con un occhio puntato su alti dirigenti ministeriali tra cui Giusi Bartolozzi, capo di Gabinetto al ministero della Giustizia. Da via Arenula emergono segnali di preoccupazione e si studiano strumenti giuridici per garantire l’immunità anche a questa figura considerata fondamentale per l’azione di governo. Il ruolo di Bartolozzi viene al centro del dibattito politico, con le opposizioni che la indicano come l’artefice delle strategie politiche del dicastero, smentendo la piena autonomia del ministro Nordio.
Le opposizioni all’attacco e lo stallo politico
A denunciare perplessità e sospetti non sono solo i partiti di minoranza: i leader di Azione Verde Sinistra, Italia Viva, M5S e Pd sferrano un attacco coordinato nei confronti del governo e dei suoi apparati. Accuse di “scandalo senza precedenti”, richieste di verità al Parlamento e inviti a superare “bugie di governo” scandiscono il ritmo di una campagna politica che si preannuncia infuocata. Nei prossimi mesi, la Giunta per le Autorizzazioni della Camera e l’Aula saranno teatro di uno scontro decisivo, con possibili ripercussioni sulla stabilità dell’esecutivo.
Il caso Almasri si configura così come una partita aperta tra istituzioni, in cui le maglie della giustizia e della politica si intrecciano sul filo della responsabilità, della trasparenza e del potere. Resta tutto da vedere se l’equilibrio reggerà o se questa vicenda segnerà una frattura profonda nel sistema democratico italiano.
