Luciano Spalletti
Un ciclo senza identità
Spalletti ha parlato di aver cercato di “servire la patria”, ma in campo l’Italia non ha mai mostrato un’identità precisa. Alternando moduli e giocatori senza trovare stabilità, la squadra ha oscillato tra prestazioni mediocri e batoste imbarazzanti, come quella subita contro una Norvegia che, pur non essendo una squadra di tutto rispetto, ha umiliato gli Azzurri con un netto 3-0. Un risultato che, da solo, basterebbe a giustificare l’esonero.
Le parole non bastano
Il ct si è detto “deluso di me stesso”, ammettendo di non aver creato quel “corpo unico” con i calciatori che avrebbe voluto. Peccato che, al di là delle buone intenzioni, in campo non si sia visto alcun progresso. Anzi, l’Italia ha spesso giocato in modo confusionario, senza idee in fase di costruzione e vulnerabile in difesa. Se Spalletti riconosce che “alcuni risultati non sono venuti”, è perché il suo progetto non ha mai davvero decollato.
Responsabilità condivisa, ma il CT paga
Certo, la crisi del calcio italiano non nasce con Spalletti. La carenza di talenti rispetto al passato è evidente, eppure altri ct, con lo stesso materiale a disposizione, erano riusciti a ottenere qualcosina di più. Roberto Mancini, nonostante le critiche, aveva vinto un Europeo. Spalletti, invece, lascia una squadra senza anima e con poche certezze, in un momento in cui la qualificazione ai mondiali non è ancora garantita.
Un addio inevitabile
Alla fine, Gravina ha fatto la scelta più logica. Continuare con Spalletti avrebbe significato rischiare ulteriori passi falsi, e la sconfitta con la Norvegia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ora la Nazionale ha bisogno di una svolta, di un tecnico in grado di ridare fiducia e organizzazione a un gruppo che, nonostante tutto, ha potenzialità superiori a quelle mostrate.
Spalletti se ne va con onestà intellettuale, ma anche con la consapevolezza di non aver lasciato il segno. Il suo è stato un mandato corto e fallimentare, e l’unica speranza è che il suo successore sappia fare meglio. Perché l’Italia, anche in tempi di magra, merita di più.