Svolta al Consiglio europeo: 90 miliardi all’Ucraina e accantonati gli asset russi
Consiglio europeo
Alla fine Bruxelles ha scelto la strada più semplice. Novanta miliardi all’Ucraina per il biennio 2026-2027, ma senza toccare i beni russi congelati. Il Consiglio europeo archivia l’ipotesi del “prestito di riparazione” che la Germania aveva sponsorizzato con forza e punta su debito comune emesso sui mercati. Ventiquattro paesi dentro, tre fuori. Il conto lo pagherà Mosca, ma solo se perderà la guerra.
Il vertice di Bruxelles si è chiuso con una soluzione di compromesso che tiene insieme le anime diverse dell’Unione. L’accordo prevede prestiti contratti sui mercati dei capitali, garantiti dal margine di manovra del bilancio europeo. I 180 miliardi di asset russi bloccati in Europa restano dove sono, almeno per ora. Troppo complicato trasformarli in prestito, troppo rischioso sul piano giuridico, troppo divisivo politicamente.
La formula trovata dai leader europei rappresenta un compromesso politico di alto livello. Berlino premeva per utilizzare i beni bloccati a Mosca, la Commissione aveva sposato la linea tedesca, la presidenza danese del Consiglio ne aveva fatto una priorità. Alla fine ha prevalso la prudenza giuridica e la necessità di evitare uno strappo tra Stati membri su un dossier troppo delicato. Il risultato: si emette debito comune, si spalma il rischio sul bilancio Ue, si rimanda il nodo degli asset.
Il meccanismo che salva l’accordo
Lo strumento giuridico scelto è la cooperazione rafforzata, prevista dall’articolo 20 del Trattato sull’Unione europea. Ventiquattro paesi hanno aderito. Tre si sono chiamati fuori: Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. Per loro nessun obbligo finanziario aggiuntivo. Le conclusioni del vertice lo chiariscono senza margini di ambiguità: l’eventuale mobilitazione di risorse comunitarie a garanzia del prestito non produrrà alcun impatto sugli obblighi finanziari di Praga, Budapest e Bratislava.
Il meccanismo funziona così: serve l’unanimità per attivarlo, ma una volta attivato vincola solo chi partecipa. I tre paesi dissenzienti hanno comunque dato il via libera alla procedura, astenendosi dall’adesione ma non bloccando l’iniziativa. Una sottigliezza giuridica che ha permesso ad Antonio Costa e Ursula von der Leyen di presentare l’intesa come unanime. Tecnicamente lo è. Sostanzialmente, no.
Gli asset russi finiscono nel cassetto?
Che fine fa il “prestito di riparazione”? Accantonato, non affossato. Il Consiglio europeo ha dato mandato alla Commissione di proseguire il lavoro tecnico sulle questioni giuridiche ancora aperte. Traduzione: troppi nodi da sciogliere, troppe resistenze da superare. Il Belgio, dove Euroclear custodisce la gran parte dei fondi congelati, ha sollevato obiezioni pesanti. L’Italia pure. Altri Stati membri hanno seguito a ruota.
La formula del “proseguimento del lavoro tecnico” è una classica exit strategy diplomatica. Permette alla Germania di non perdere completamente la faccia dopo aver spinto sull’acceleratore. Consente alla Commissione di non ammettere l’errore di valutazione. Lascia aperta una porta che, però, nessuno ha intenzione di varcare a breve. Il congelamento sine die degli asset, deciso all’unanimità la settimana scorsa, resta in vigore. Ma utilizzarli è un’altra storia.
Il prestito sarà ripagato da Mosca
Eppure gli asset russi non escono del tutto dalla partita. La soluzione di compromesso escogitata a Bruxelles li riporta in gioco attraverso la clausola di rimborso. Il prestito da novanta miliardi, erogato senza interessi, dovrà essere restituito dall’Ucraina solo a una condizione: che la Russia paghi le riparazioni di guerra dopo la fine del conflitto. Se Mosca onorerà i debiti, Kiev restituirà i soldi all’Ue. Se Mosca si rifiuterà, il prestito verrà coperto attingendo proprio dai beni congelati.
Una costruzione giuridico-finanziaria sofisticata che trasforma un prestito tradizionale in uno strumento ibrido. A metà tra il sostegno diretto e il risarcimento indiretto. L’Ucraina ottiene liquidità immediata per affrontare il biennio più difficile. L’Unione europea si assicura una copertura potenziale attraverso i fondi russi. La Russia scopre che i suoi asset, pur formalmente intoccabili oggi, potrebbero diventare domani la garanzia ultima del conto da pagare per l’aggressione a Kiev.
