La strategia comunicativa del Cremlino emerge in tutta la sua complessità dalle dichiarazioni rilasciate all’agenzia Ria Novosti. Putin nega categoricamente l’intenzione di conquistare la città ucraina di Sumy, pur ammettendo che “tale possibilità non è esclusa”. Una contraddizione apparente che nasconde una precisa tattica: mantenere alta la pressione militare senza assumersene pubblicamente la responsabilità.

“Non mettiamo in discussione il diritto dell’Ucraina all’indipendenza e alla sovranità né stiamo cercando la capitolazione”, ha dichiarato il leader russo, per poi aggiungere immediatamente: “Ma insiste sul riconoscimento della realtà sul campo”. Una realtà che, secondo Putin, vede “l’esercito russo avanzare ogni giorno in tutte le direzioni, lungo l’intera linea di combattimento”.

La dottrina dell’unità dei popoli

Il cuore ideologico del discorso putiniano si manifesta nella rivendicazione di un’unità storica tra russi e ucraini. “Ho già detto più volte che considero i popoli russo e ucraino un unico popolo in realtà”, ha affermato, giustificando così le sue mire espansionistiche con argomentazioni di carattere etnico-culturale che ricordano pericolosamente i nazionalismi del secolo scorso.

Questa visione si inquadra in quello che Putin definisce un momento di “cambiamenti tettonici nell’economia e nella demografia globale”, dove “crisi e conflitti regionali stanno rapidamente divampando nel mondo”. Il riferimento al Medio Oriente non è casuale: rappresenta il terreno dove il presidente russo intende giocare la sua partita diplomatica.

L’offerta di mediazione tra Iran e Israele

In un gioco di specchi geopolitico, Putin si trasforma da aggressore in Ucraina a potenziale mediatore in Medio Oriente. “Non stiamo affatto cercando di agire da mediatore, stiamo semplicemente suggerendo idee”, ha precisato, con quella sottile distinzione semantica che caratterizza la diplomazia russa.

Le telefonate con Benjamin Netanyahu e Masoud Pezeshkian dopo gli attacchi israeliani di venerdì scorso testimoniano un’attivazione diplomatica che, tuttavia, si scontra con la “riluttanza, almeno da parte di Israele, a ricorrere a qualsiasi servizio di mediazione”, come ammesso dallo stesso Cremlino.

La posizione russa appare strategicamente calcolata: condannare gli attacchi israeliani senza offrire supporto militare all’alleato iraniano, minimizzando al contempo gli obblighi derivanti dall’accordo di partenariato strategico firmato pochi mesi fa con Teheran.

L’economia sotto pressione

Dietro la facciata di sicurezza internazionale, Putin deve fare i conti con una realtà economica interna sempre più complessa. Pur respingendo pubblicamente i timori di recessione – “il rischio di stagnazione o addirittura di recessione nell’economia russa non è consentito in nessuna circostanza” – il presidente russo non può ignorare gli avvertimenti degli esperti.

“Alcuni specialisti ed esperti stanno evidenziando i rischi di stagnazione e persino di recessione. Questo non deve essere permesso in nessuna circostanza”, ha ribadito con forza, lasciando trasparire la preoccupazione di un regime che fonda gran parte della sua legittimità sulla stabilità economica.

Un ordine multipolare a senso unico

La visione putiniana di un “ordine multipolare nel mondo dove tutti raggiungano accordi e trovino soluzioni” stride con la realtà di una Russia che ha scatenato la più grande guerra sul suolo europeo dalla Seconda Guerra Mondiale. Il multipolarismo russo sembra configurarsi come un mondo dove Mosca detiene un diritto di veto su qualsiasi soluzione diplomatica, dall’Ucraina al Medio Oriente.

Le dichiarazioni di San Pietroburgo rivelano un Putin che naviga tra contraddizioni sempre più evidenti: guerrafondaio in Europa e pacificatore in Asia, assertivo nelle rivendicazioni territoriali ma ansioso per la tenuta economica interna.

La domanda che resta aperta è se questa strategia del doppio binario – aggressione militare e diplomazia parallela – possa reggere a lungo termine, o se le contraddizioni interne finiranno per far crollare l’intero castello geopolitico costruito dal Cremlino. La risposta potrebbe determinare non solo il futuro della Russia, ma l’equilibrio mondiale dei prossimi decenni.