“Una vita”, Brizé da perdita del lavoro a perdita dell’illusione

1 giugno 2017

Il suo film precedente, “La legge del mercato”, che era valso il premio per miglior attore a Cannes a Vincent Lindon, trattava di un tema attuale come la disoccupazione, ora il regista francese Stéphane Brizé porta al cinema un film di tutt’altro genere: la trasposizione del romanzo di Guy de Maupassant “Una vita”. Il film racconta l’esistenza di Jeanne (interpretata da Judith Chemla), una donna che nella Normandia di inizio Ottocento abbandona sogni e innocenza per sposare un uomo infedele, nobile come lei, e inizia un percorso di vita costellato di dolori e disgrazie. Brizé, alla presentazione del suo film a Roma, ha spiegato: “Effettivamente sono due film che possono sembrare lontani, ma sono molto legati, perché i due protagonisti hanno in comune un’idea molto alta dell’essere umano, e pure in epoche e situazioni sociali molto diverse, sono due personaggi che vivono la fine dell’illusione. Questo, per me, simboleggia il fatto che ci troviamo in un momento storico che rappresenta la definitiva fine dell’illusione, per tutti noi”.

La macchina da presa segue da vicino la protagonista per tutto il film: è il racconto costante del suo punto di vista, delle stagioni della sua vita, della sua malinconia, del suo restare fedele alla sua ingenuità e purezza. Senza filtro. “La melanconia che mi accompagna e che è evidente in tutti i miei film è legata all’idea che sicuramente abbiamo tradito una parte dei nostri sogni. Ma ho scelto di girare ‘Una vita’ per sottolineare il fatto che ognuno di noi paga le conseguenze delle scelte che compie. Lei non ha saputo o voluto elaborare il lutto dell’innocenza e dell’infanzia: ha mantenuto in età adulta una visione idealizzata della vita, e si è privata di qualunque forma di protezione. Questo rende il personaggio di una bellezza struggente, ma estremamente drammatico”.

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