Regionali Toscana, il centrodestra batte il record ma Giani è stato rieletto governatore. Vannacci divide la Lega, precipita il M5s
Fratelli d’Italia raddoppia i voti al 26,58%, ma il crollo della Lega al 4,45% frena il centrodestra in una regione chiave per Meloni.

Nonostante il miglior risultato di sempre per il centrodestra in Toscana, il candidato di Fratelli d’Italia Alessandro Tomasi è stato sconfitto da Eugenio Giani con un distacco di 13 punti: una vittoria simbolica che nasconde fratture profonde all’interno della coalizione, soprattutto nella Lega, ridotta a un quarto del consenso rispetto al 2020 e dilaniata da faide interne legate alla figura del generale Mario Vannacci.
Il voto regionale in Toscana ha consegnato al centrosinistra la riconferma di Eugenio Giani, ma ha anche acceso i riflettori sulle tensioni crescenti nel campo del centrodestra. Sebbene il 40,5% ottenuto da Tomasi rappresenti il risultato più alto mai raggiunto dalla destra in questa regione storicamente ostile, il dato è insufficiente a ribaltare il predominio del Pd e dei suoi alleati. La vera storia, però, non è nel confronto tra coalizioni, bensì all’interno dello schieramento guidato da Giorgia Meloni.
Fratelli d’Italia si impone come primo partito della coalizione con il 26,6%, quasi raddoppiando il risultato del 2020 e confermando il trend nazionale. A questo si aggiunge il 2,4% della lista civica a sostegno di Tomasi, a testimonianza di un tentativo di radicamento locale. Forza Italia tiene con il 6,2%, migliorando rispetto al passato e mostrando una certa resilienza. Ma è la Lega a far registrare il crollo più clamoroso: ferma al 4,5%, scivola al terzo posto nella coalizione, lontanissima dal 21,7% conquistato cinque anni fa con Susanna Ceccardi in corsa per la presidenza.
Lega in crisi: il peso della “vannaccizzazione”
L’esito del voto toscano segna un punto di non ritorno per il partito di Matteo Salvini, già in affanno dopo le Europee. La scommessa su Mario Vannacci — il generale diventato simbolo di una destra “anti-sistema” — si è rivelata controproducente. Nominato coordinatore della campagna elettorale dallo stesso Salvini, Vannacci è stato al centro di aspre polemiche interne. Susanna Ceccardi, ex candidata presidente e oggi eurodeputata, lo ha accusato pubblicamente di aver gestito le liste in modo autoritario: “Il partito non è un esercizio”, aveva dichiarato con rabbia.
Fonti interne alla Lega non esitano a indicare proprio questa gestione conflittuale come una delle cause principali del tracollo elettorale. Mentre i dissidenti parlano di “autogol”, i fedelissimi di Vannacci difendono la sua figura: “Tre mesi fa eravamo sotto il 3% — ha ricordato Massimiliano Simoni, unico leghista sicuramente rieletto —. Senza di lui saremmo spariti del tutto”. Eppure, anche a destra, in molti tirano un sospiro di sollievo per la sua scarsa performance: a via della Scrofa, sede nazionale di Fratelli d’Italia, Vannacci è visto come un attore imprevedibile, troppo vicino a un elettorato nostalgico e difficile da controllare.
Tensioni di coalizione e lo sguardo al futuro
Il voto toscano non è solo un campanello d’allarme per la Lega, ma anche un test cruciale in vista delle prossime sfide regionali di novembre, quando Puglia, Campania e Veneto saranno chiamate alle urne. Se in Puglia la vittoria del sindaco di Bari Antonio Decaro appare scontata, e in Campania Edmondo Cirielli (FdI) cercherà di contendere la presidenza a Roberto Fico, è in Veneto che si gioca la partita più delicata per l’equilibrio interno al centrodestra.
Qui, infatti, è in atto un vero e proprio patto tra Fratelli d’Italia e Lega: Giorgia Meloni ha accettato di lasciare la candidatura a palazzo Balbi al salviniano Alberto Stefani, in cambio dell’impegno a cedere la Lombardia a FdI e di assegnare ai “suoi” assessorati chiave come Sanità e Bilancio. Ma c’è un’altra condizione, non meno importante: l’esclusione del nome di Luca Zaia dal simbolo della Lega.
Il governatore veneto, amatissimo in regione, ha reagito con stizza: “Sembrava si potesse mettere il mio nome sul simbolo della lista — ha dichiarato —. Ho visto che c’è stato un veto anche su questo a livello nazionale. Se sono un problema, vedrò di renderlo reale”. Il messaggio è chiaro: Zaia non intende farsi mettere in ombra da logiche di spartizione romane e potrebbe decidere di correre con una lista autonoma, mettendo a rischio l’unità della coalizione.
Il centrodestra unito? Solo sulla carta
La Toscana ha mostrato che, nonostante i successi elettorali nazionali, il centrodestra fatica a tenere insieme le sue anime. Fratelli d’Italia cresce, ma la Lega vacilla; le alleanze reggono in superficie, ma sotto scorrono rivalità e ambizioni personali. Con le elezioni venete alle porte, il rischio è che le tensioni interne — alimentate da figure carismatiche ma divisorie come Vannacci o Zaia — possano minare la compattezza dello schieramento. E in un momento in cui il centrosinistra cerca di ricompattarsi, ogni crepa nel campo avversario potrebbe fare la differenza.
