Addio al “tetto”, stipendi d’oro ai dipendenti della Camera

Addio al “tetto”, stipendi d’oro ai dipendenti della Camera
3 gennaio 2018

Un ragioniere arriverà a intascare uno stipendio massimo di circa 240 mila euro l’anno. Il consigliere addirittura potrà portare a casa circa 360 mila euro. Vita meno “agiata”, invece, si profila per il barbiere che guadagnerà non più di 136 mila euro. Il 2018 inizia con una bella sorpresa per i dipendenti di Camera e Senato: dall’1 gennaio è saltato il tetto agli stipendi d’oro che era stato fissato nel 2014 ad un massimo di 240mila euro, previsto dalla legge Finanziaria approvata dal governo Letta nel 2014 con durata triennale e “giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema”. In sostanza: anno nuovo, compensi vecchi. Il taglio delle retribuzioni in parlamento appare il classico gioco delle tre carte. Ogni legislatura, si tenta il tutto per risparmiare sui costi della politica, ma con veri e propri blitz normativi gli azzeccagarbugli riescono a far risorgere ciò che si pensava morto. E così centralinisti, uscieri e barbieri non prenderanno più 99mila euro l’anno, ma arriveranno a guadagnarne fino 136mila. Buona musica anche per elettricisti e informatici, che passano da 106mila euro annui a 156mila. Lo stipendio dei documentaristi, invece, arriverà a 237mila euro, mentre quello dei consiglieri parlamentari 358mila euro l’anno. Una busta paga superiore anche a quella del presidente della Repubblica Mattarella.

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Tale aumento del tetto comporterà nell’anno appena iniziato un crescita del peso degli stipendi del 4,55% sul 2017, pari a 178 milioni sui 968 milioni e 124mila 571 euro del costo complessivo di Montecitorio, 17 milioni in più rispetto allo scorso anno. Il tutto in barba al nuovo contratto per 247 mila dipendenti statali, firmato dopo circa dieci anni e che, come è noto, prevede scatti sullo stipendio per una media di 85 euro. Spulciando sempre il bilancio della Camera per l’anno in corso, si registra anche l’aumento della spesa per il personale non dipendente: 1,4 milioni di euro in più (+9,8 per cento). A far lievitare i costi, poi, sono le pensioni: per i deputati che cominceranno a ricevere l’assegno previdenziale, si prevede una spesa di 2,8 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente. Poi c’è la voce ‘spese guardaroba: sia alla Camera che al Senato, infatti, i parlamentari possono lasciare cappotto e trolley in un armadio custodito. E questo nonostante abbiano l’ufficio nello stesso Palazzo. La comodità, in soldoni, costa 175mila euro. Per quanto riguarda i tanto contestati ristoranti (che per i prezzi, va detto, si sono quasi adeguati al mercato), il costo per il contribuente è comunque di 2 milioni e 140mila euro. Notevole, poi, è la bolletta di acqua, luce e gas del Palazzo. Costo totale: 4 milioni e 650mila. Per i servizi postali, invece, si prevede una spesa di 150mila euro.

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Intanto, gli ex deputati, la scorsa primavera, hanno dato vita a una protesta, dichiarando guerra al contributo di solidarietà sui vitalizi, una misura che si applica su tre anni e che era stato deliberato a fine marzo dall’ufficio di Presidenza. Ricordiamo che gli ex deputati ancora titolari di vitalizio sono coloro che hanno cessato il mandato prima del 2011 e che non sono stati interessati dalla riforma che ha abolito i vitalizi e li ha sostituiti con una pensione calcolata con metodo contributivo mantenendo comunque alcune regole differenti rispetto a quelle vigenti per i lavoratori dipendenti. Il parlamento, comunque, ha oramai chiuso i battenti. Addio, invece, alla riduzione dei vitalizi di parlamentari e consiglieri regionali. Resta, infatti, la beffa agli italiani da parte della politica tutta, che ormai pensa soltanto alla campagna elettorale per la riconquista di una poltrona. La proposta di legge sull’adeguamento dei vitalizi del deputato Dem Matteo Richetti, depositata alla Camera il 9 luglio 2015, è stata approvata solamente due anni dopo, lo scorso 26 luglio. Il testo, trasmesso al Senato l’indomani, è stato sottoposto al vaglio della commissione Affari costituzionali il primo agosto e il 7 ottobre era ancora lì, in attesa di un giudizio che il Senato non ha mai avuto il coraggio di esprimere esplicitamente attraverso il voto.

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