Addio pensione di reversibilità, per le vedove italiane è peggio di un incubo | Ufficiale: stop agli accrediti dal prossimo mese

Pensione reversibilità - (pexels) - IlFogliettone.it
Addio alla pensione di reversibilità: cosa succede con l’Ape Sociale, il dramma silenzioso per tanti vedovi e vedove.
La pensione di reversibilità rappresenta per molte famiglie italiane un sostegno fondamentale in seguito alla perdita di un coniuge. È infatti la forma principale di tutela per i superstiti, quando il defunto era titolare di un assegno pensionistico. Tuttavia, non tutti i trattamenti previdenziali garantiscono questo diritto. Esiste infatti un’eccezione importante che sta lasciando molte persone senza alcun sostegno economico: si tratta dell’Ape Sociale.
La situazione sta colpendo duramente persone già provate dal lutto. Molti coniugi superstiti, anche privi di reddito o con un Isee bassissimo, si vedono negare l’assegno di reversibilità. Questo perché il trattamento percepito in vita dal coniuge deceduto non sempre dà diritto a una prestazione pensionistica trasmissibile. È il caso dell’Ape Sociale, una misura di flessibilità in uscita dal lavoro che, però, comporta gravi conseguenze in caso di decesso prima dei 67 anni.
L’Ape Sociale è stata introdotta come forma di pensionamento anticipato per alcune categorie fragili, come disoccupati, caregiver, invalidi e lavoratori gravosi. Consente di accedere a un assegno a partire dai 63 anni e 5 mesi con almeno 30 o 36 anni di contributi, a seconda dei casi. Ma c’è un dettaglio fondamentale che in pochi conoscono: l’Ape Sociale non è una pensione definitiva, bensì un “assegno ponte” che accompagna il beneficiario fino alla pensione di vecchiaia.
Il nodo critico è proprio questo: finché il titolare percepisce l’Ape Sociale, non viene considerato formalmente pensionato. Se muore prima di compiere i 67 anni, l’Inps non eroga alcuna forma di reversibilità al coniuge né ai figli. Anche se questi versano in stato di bisogno, non hanno diritto a nulla. Un dettaglio tecnico che, nella pratica, rappresenta una condanna all’indigenza per tanti nuclei familiari già duramente colpiti dalla perdita.
Un assegno limitato, senza tredicesima né quattordicesima
A rendere la misura ancora più penalizzante c’è il fatto che l’Ape Sociale ha un importo massimo di 1500 euro lordi al mese. Non è prevista la tredicesima né la quattordicesima, e non è possibile svolgere attività lavorativa continuativa. Solo il lavoro autonomo occasionale è tollerato, entro il limite di 5000 euro lordi annui. Una rigidità che spesso rende difficile anche solo mantenere una vita dignitosa, figuriamoci aiutare i familiari.
Chi accede alla pensione di vecchiaia ordinaria, invece, può contare sulla piena trasmissibilità del trattamento ai superstiti. È questo il grande spartiacque: solo dopo il compimento dei 67 anni si acquisisce il diritto alla reversibilità. Fino a quel momento, chi percepisce l’Ape Sociale non è considerato un pensionato a tutti gli effetti, nonostante stia ricevendo un trattamento pubblico mensile.
Serve maggiore informazione per chi sceglie l’Ape Sociale
Molti cittadini accettano di andare in pensione anticipata con l’Ape Sociale senza essere consapevoli delle implicazioni a lungo termine. L’assenza della reversibilità è una di quelle clausole non sempre spiegate con chiarezza. Servono più informazione e consapevolezza: il rischio è che, dietro una scelta che sembra conveniente, si nascondano conseguenze pesantissime per i propri cari.
Di fronte a questa situazione, è urgente un intervento normativo. L’assenza della reversibilità per l’Ape Sociale penalizza proprio le famiglie più fragili e vulnerabili. È necessario che il legislatore affronti la questione e introduca tutele anche per i superstiti di chi ha scelto questa via. Perché una pensione, anche se definita “ponte”, non può lasciare il vuoto più totale dietro di sé.