Bergoglio indica ai preti l’esempio di due “scomodi” uomini di Dio

Bergoglio indica ai preti l’esempio di due “scomodi” uomini di Dio
20 giugno 2017

Non sarà una riabilitazione ma è comunque una svolta. Don Primo Mazzolari (1890-1959) (foto sx) e don Lorenzo Milani (1923-1967) (foto) già da tempo erano stati rivalutati dalla Chiesa cattolica italiana. Per il prete anti-fascista che alla sua epoca fu esiliato e guardato a vista dalle autorità ecclesiali è partita dal 2015 la trafila che – lo ha annunciato oggi il vescovo di Cremona – sfocerà nell’apertura del processo di beatificazione il prossimo 18 settembre. Quanto a don Milani la diocesi di Firenze già da tempo, pur tra mille precisazioni e distinguo, ha archiviato l’epoca nella quale il sacerdote maestro era tacitato, emarginato, censurato. I predecessori di Jorge Mario Bergoglio, in particolare Giovanni Paolo I, Paolo VI e Giovanni XXIII hanno già tributato parole di riconoscenza in particolare a Mazzolari. Ma non era mai accaduto che un Pontefice romano si recasse sulla tomba di questi due sacerdoti, a Bozzolo, nel Mantovano, e a Barbiana, in provincia di Firenze. Indicando, con questo gesto prima ancora che con i corposi discorsi che ha pronunciato, che è questo il modello di uomo di Dio che il Pontefice riformatore ha in mente come esempio per tutti i preti, in particolare per quelli italiani. “Oggi sono pellegrino qui a Bozzolo e poi a Barbiana”, ha esordito Francesco nel suo primo discorso, “sulle orme di due parroci che hanno lasciato una traccia luminosa, per quanto ‘scomoda’, nel loro servizio al Signore e al popolo di Dio. Ho detto più volte che i parroci sono la forza della Chiesa in Italia. Quando sono i volti di un clero non clericale, essi danno vita ad un vero e proprio magistero dei parroci, che fa tanto bene a tutti”.

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Proprio oggi, peraltro, è uscita su internet una nuova richiesta di udienza di quattro anziani cardinali che già in passato hanno pubblicamente contestato Papa Francesco per le sue aperture. L’ex arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra, che Bergoglio ha recentemente confermato membro della Pontificia accademia per la vita, il sei maggio scorso ha scritto anche a nome degli altri tre, i tedeschi Walter Brandmueller e Joachim Meisner e lo statunitense Raymond Leo Burke una missiva – pubblicata ora in Italia dal blog del vaticanista Sandro Magister – nella quale chiede al Pontefice udienza per avere risposta sui dubbi (in latino, “dubia”) che i quattro già gli hanno indirizzato in una precedente lettera del 19 settembre, anch’essa poi pubblicata il successivo novembre. “Non avendo ricevuto alcuna risposta da Vostra Santità, siamo giunti alla decisione di chiederLe, rispettosamente ed umilmente, Udienza, assieme se così piacerà alla Santità Vostra”, scrivono i quattro porporati, che tornano a chiedere una “chiarificazione” a partire dalla “situazione di confusione e smarrimento, soprattutto nei pastori d`anime, ‘in primis’ i parroci” che sarebbe causata dall’esortazione apostolica di Papa Francesco sulla famiglia, l’Amoris laetitita. In particolare, in riferimento alla appertura alla comunione ai divorziati risposati, i quattro cardinali appuntano i loro dubbi sul fatto che ormai vescovi, cardinali e intere conferenze episcopali “approvano ciò che il Magistero della Chiesa non ha mai approvato”, ossia “non solo l’accesso alla Santa Eucarestia di coloro che oggettivamente e pubblicamente vivono in una situazione di peccato grave, ed intendono rimanervi, ma anche una concezione della coscienza morale contraria alla Tradizione della Chiesa”.

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Argomenti legittimi ma sideralmente distanti dalla vita di fede che Papa Francesco vede incarnata nella testimonianza esemplare di don Mazzolari e don Milani. Due sacerdoti, peraltro, ai quali è molto legato anche il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti di Perugia, che impersona una idea di Chiesa in sintonia con quella del Papa argentino. Francesco ha citato il primo indirizzando un invito “a tutti i preti dell’Italia e del mondo: abbiamo buon senso, non dobbiamo massacrare le spalle della povera gente”. Ha ricordato l’idea di una “Chiesa in uscita” cara a lui come a Mazzolari, l’esigenza di andare anche verso i “lontani”, ha citato Paolo VI, secondo il quale Mazzolari, come tutti i profeti, “camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro”. Francesco ha scandito: “Il Signore, che ha sempre suscitato nella santa madre Chiesa pastori e profeti secondo il suo cuore, ci aiuti oggi a non ignorarli ancora. Perché essi hanno visto lontano, e seguirli ci avrebbe risparmiato sofferenze e umiliazioni”. Don Primo Mazzolari, ancora, “non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata”. Lungo e dettagliato, un’ora dopo, anche il discorso che il Papa ha dedicato a don Milani e l’omaggio che ha fatto al suo impegno di maestro: “Da insegnare ci sono tante cose, ma quella essenziale è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune”, ha sottolineato il Papa, che ha insistito, soprattutto, sul fatto che per il sacerdote, figlio di madre ebrea, convertito al cattolicesimo nella ricerca di “Assoluto”, “la scuola “non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo”.

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Infine, a conclusione del discorso, un riferimento alla richiesta, non esaudita, che il sacerdote fiorentino indirizzò al suo arcivescovo, il cardinale Ermenegildo Florit: “Non posso tacere – ha detto Bergoglio – che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al Vescovo – ha ricordato Francesco – scrisse: ‘Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…'”. In quella missiva a Florit del 5 marzo 1964 don Milani – il Papa non lo ha citato – scriveva, tra l’altro: “Più santamente io tacevo e più scandalosa appariva la lontananza del vescovo dai poveri, dalla verità, dalla giustizia”. Il Papa ha precisato: “Dal Card. Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi – ha proseguito il Papa – gli Arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco -, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa. Con la mia presenza a Barbiana”, ha detto ancora il Papa, “con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: ‘Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità’. Il prete ‘trasparente e duro come un diamante’ continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa. Prendete la fiaccola e portatela avanti”.

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