Bilancio Ue e recovery plan, il piano B contro il veto polacco-ungherese

Bilancio Ue e recovery plan, il piano B contro il veto polacco-ungherese
Viktor Orbán
3 dicembre 2020

C’è un “piano B” pronto a essere attuato in alternativa al progetto originario del “Next Generation EU”, il recovery plan post pandemico europeo da 750 miliardi di euro, se dovesse permanere l’attuale veto polacco-ungherese al bilancio comunitario 2021-2027 (Quadro finanziario pluriennale, Qfp) e alla decisione sul nuovo tetto delle risorse proprie del bilancio stesso. Ed è un piano che potrebbe cominciare a essere attivato già alla fine della settimana prossima, se il Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre non sarà riuscito a sbloccare la situazione. Lo hanno spiegato ieri fonti comunitarie qualificate a Bruxelles. In sostanza, il piano B si compone di due diversi aspetti: da una parte, un bilancio annuale ridotto per il 2021, con molti programmi bloccati e pagamenti ritardati per quelli ancora attuabili; dall’altra, una “soluzione ponte” basata su un accordo fra i 25 Stati membri (o 24, se il governo sloveno, che simpatizza per le ragioni di Polonia e Ungheria, si unirà al loro veto), per riprodurre tale a quale il Next Generation EU, con l’unica modifica del numero dei paesi partecipanti.

Per la prima parte del piano alternativo non ci sono problemi dal punto di vista giuridico: l’esercizio provvisorio di bilancio annuale, come rete di sicurezza in caso di mancato accordo sul quadro pluriennale, è previsto dai Trattati Ue, e scatterebbe quasi automaticamente se la situazione non venisse sbloccata il 10 dicembre. La Commissione dovrebbe semplicemente presentare una nuova proposta di bilancio per il 2021, basata sui “dodicesimi”: ogni mese, l’Ue potrebbe spendere al massimo un dodicesimo dell’ultimo bilancio, quello del 2020. Il problema, in questo caso, sarebbe che tutti i nuovi programmi comunitari, senza il quadro pluriennale approvato, non avrebbero base giuridica, e non potrebbero essere finanziati. Da notare che i bilanci annuali sono approvati a maggioranza qualificata, a differenza del Qfp per il quale è richiesta l’unanimità da parte degli Stati membri. Anche volendo, Polonia e Ungheria non potrebbero opporsi.

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Secondo una lista sommaria, potrebbero continuare a essere finanziati con i “dodicesimi” tutti i programmi che non hanno una “sunset clause”: i pagamenti diretti della Politica agricola comune (Pac), i programmi della Politica estera e di sicurezza comune, gli aiuti umanitari e il meccanismo di protezione civile “RescEU”, oltre alle spese di funzionamento delle istituzioni. Resterebbero bloccati invece tutti i progetti della Politica di coesione, il programma per la ricerca “Horizon Europe”, il programma per la salute “EU4Health”, il Fondo per la gestione delle frontiere esterne, il programma di scambi di studenti “Erasmus+”, il programma per la cultura “Creative Europe”, il “Just Transition Fund” per la transizione energetica delle aree più dipendenti dalle energie fossili, i progetti ambientali finanziati da “Life+”, e i progetti di sviluppo rurale del secondo pilastro della Pac. Per i programmi che continuerebbero a essere finanziati, oltre ai ritardi dovuti ai pagamenti frazionati in 12 mensilità, vi sarebbe anche una riduzione di circa 25-30 miliardi di euro dell’ammontare complessivo dei fondi, a causa della Brexit e della riduzione del Pil del 2020 provocato dalla pandemia di Covid-19 (perché i calcoli sono fatti in base a percentuali del Pil).

La seconda parte del Piano B, quella sul recovery plan, è apparentemente più complicata, ma tecnicamente possibile, e, secondo le fonti, non comporterebbe necessariamente neanche un sostanziale ritardo rispetto al piano originale. In sostanza, le alternative sarebbero due, entrambe basate sul diritto comunitario: una “cooperazione rafforzata” senza Polonia e Ungheria, avente per oggetto il “Next Generation EU”; oppure un accordo fra i paesi partecipanti per mettere a disposizione le garanzie necessarie a consentire alla Commissione di emettere titoli di debito sui mercati per finanziare il recovery plan. Le garanzie degli Stati partecipanti (sotto forma di impegni finanziari sottoscritti ma non versati, proporzionali al loro Pil) sostituirebbero in questo caso il “margine” (“headroom”) del bilancio Ue, che è costituito dalla differenza fra il “tetto delle risorse proprie” (che il Qfp prevedeva di portare al 2% del Reddito nazionale lordo complessivo dell’Ue) e il tetto di spesa previsto dallo stesso Qfp (che doveva essere pari all’1,4% del Rnl). In altri termini, le garanzie dovrebbero essere pari allo 0,6% del Rnl.

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Le fonti hanno chiaramente escluso una terza ipotesi alternativa, quella di un accordo intergovernativo a 25, con un “veicolo finanziario speciale” (“special purpose vehicle”, come il Mes) perché sarebbe svantaggiosa per due ragioni: innanzitutto comporterebbe il versamento delle garanzie, con un aumento del debito pubblico degli Stati membri partecipanti, una circostanza che non è prevista con le soluzioni “comunitarie”; in secondo luogo, occorrerebbe probabilmente molto più tempo per costruire il meccanismo, che arriverebbe troppo tardi per sostenere la ripresa economica. Un ultimo elemento rilevante riguarda la condizionalità della “Rule of law”, ovvero il meccanismo che condiziona il recepimento dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto da parte dei paesi beneficiari. Com’è noto, è proprio l’opposizione a questo meccanismo (per la cui approvazione è richiesta la maggioranza qualificata) che ha determinato il veto polacco e ungherese alle due decisioni che richiedono l’unanimità: quella sul Qfp e quella sull’aumento del “tetto delle risorse proprie” al 2% del Rnl. Le fonti hanno puntualizzato che il regolamento Ue sulla condizionalità dello stato di diritto, che deve ancora essere approvato, una volta entrato in vigore si applicherà a tutte le spese finanziate dal bilancio comunitario; e quindi non solo al Qfp e al Next Generation EU oggi bloccati, ma anche ai fondi dell’eventuale esercizio provvisorio basato sui dodicesimi per il 2021.

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Per concludere, Polonia e Ungheria con il loro veto non solo stanno mettendo a rischio i finanziamenti del Next Generation EU e di programmi comunitari che hanno bloccato per il periodo 2021-2027 (a prezzi correnti per la Polonia sono previsti 75 miliardi dalla coesione e 9,5 miliardi dallo sviluppo rurale, e per l’Ungheria 22,5 miliardi dalla coesione e 3 miliardi dallo sviluppo rurale, per limitarsi a questi programmi) ma non potranno neanche bloccare il meccanismo sulla condizionalità dello stato di diritto, che potrebbe colpirli anche sui programmi finanziati con l’esercizio provvisorio di bilancio. Bisogna vedere, naturalmente, se gli altri governi, e in particolare la presidenza di turno tedesca del Consiglio Ue, avranno la volontà politica e la determinazione di andare fino in fondo, minacciando da subito l’attivazione da “piano B”, o se invece prevarrà una logica di compromesso che comporterebbe inevitabilmente un annacquamento del meccanismo sullo stato di diritto per accontentare Varsavia e Budapest. Tuttavia, è molto difficile che il Parlamento europeo possa accettare questa soluzione, che in realtà sarebbe una vera e propria resa ai regimi illiberali dei due paesi dell’Est, e rischierebbe seriamente di aprire una crisi istituzionale interna, oltre a una frattura ancora maggiore in seno al Consiglio. askanews

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