Bruxelles rinvia la decisione sui fondi congelati russi: troppi rischi per l’Europa

Divisioni, timori legali e divergenze politiche bloccano la decisione sul piano di finanziamento all’Ucraina. Tutto rinviato al summit di dicembre.

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Nessuna svolta, ma un nuovo rinvio. Il Consiglio europeo ha scelto di non affrontare nel merito la proposta di utilizzare gli asset russi congelati per finanziare il sostegno economico e militare all’Ucraina. Non solo non è stata presa alcuna decisione — come in parte già previsto — ma la misura non è stata nemmeno menzionata nelle conclusioni ufficiali del vertice a 26, segno di una spaccatura ancora profonda tra i leader dell’Unione.

Un silenzio che pesa, soprattutto in un momento in cui Kiev chiede risposte rapide e concrete, e in cui gli Stati Uniti spingono per un maggiore coinvolgimento europeo nella copertura delle spese di guerra e di ricostruzione. Tuttavia, le divisioni interne e i timori legali hanno finito per prevalere, trasformando il vertice di Bruxelles in un esercizio di prudenza più che di ambizione politica.

Il nodo belga e la paura del “conto da 180 miliardi”

Alla base dello stallo c’è una rete intricata di questioni legali e timori economici. L’Ungheria resta apertamente contraria, ma anche altri Stati membri, Italia inclusa, hanno espresso forti perplessità sulla sostenibilità e sulla sicurezza di un meccanismo che presenta numerosi rischi. Il Belgio, custode del 90% degli asset russi congelati — pari a circa 180-185 miliardi di euro, depositati presso la società finanziaria Euroclear — continua a chiedere la “mutualizzazione integrale dei rischi”, temendo di doversi ritrovare a coprire da solo eventuali perdite o risarcimenti in caso di contenziosi internazionali.

Il primo ministro belga Bart De Wever ha ricordato che il suo Paese è vincolato da un accordo bilaterale con Mosca sulla protezione degli investimenti, un trattato che apre la strada ad arbitrati internazionali. Alcune cause sono già state avviate contro Euroclear, la quale possiede a sua volta asset in Russia, seppur di valore molto inferiore, circa un decimo della cifra totale.

Gli esperti legali avvertono che in caso di sentenze sfavorevoli, Bruxelles potrebbe trovarsi a dover rispondere per somme colossali. Una prospettiva che preoccupa non solo il Belgio, ma anche Paesi come la Germania e la Francia, che temono l’apertura di un precedente difficile da gestire nel diritto internazionale.

“Meglio non decidere”: la prudenza prevale

Il timore di un effetto domino ha portato molti governi a preferire il rinvio. La garanzia richiesta dal Belgio, che dovrebbe estendersi oltre i due o tre anni previsti per l’erogazione dei prestiti all’Ucraina, ha ulteriormente complicato la trattativa. L’idea di istituire un fondo comune di compensazione resta sul tavolo, ma manca ancora un accordo politico per renderlo operativo.

“Meglio non decidere”, è stata in sostanza la linea di compromesso che ha permesso di evitare uno scontro frontale tra i Ventisette. Nelle conclusioni del Consiglio si legge che l’Unione “si impegna a far fronte alle urgenti esigenze finanziarie dell’Ucraina per il periodo 2026-2027, anche per i suoi sforzi militari e di difesa”.

Il documento incarica la Commissione europea di presentare “il prima possibile” nuove opzioni di sostegno finanziario, basate su una valutazione aggiornata dei bisogni di Kiev. L’obiettivo è riaprire la discussione nel prossimo vertice di dicembre, quando i leader sperano di avere un quadro giuridico più chiaro e un consenso più ampio.

Sostegno all’Ucraina, ma con cautela

Se da un lato Bruxelles ribadisce il “forte impegno” nel sostenere l’Ucraina, dall’altro le conclusioni restano prudenti e vaghe. L’unico punto davvero chiaro riguarda la permanenza del congelamento dei beni russi “fino a quando la Russia non avrà cessato la sua guerra di aggressione e risarcito i danni causati”.

Un’affermazione politica che serve a mantenere la linea di fermezza nei confronti di Mosca, ma che non offre risposte immediate al problema del finanziamento dell’Ucraina. Molti osservatori sottolineano che, senza un meccanismo stabile e condiviso, Bruxelles rischia di restare indietro rispetto agli impegni assunti con Washington e con gli altri alleati del G7.

Nel frattempo, le necessità di Kiev continuano a crescere: secondo le ultime stime del Fondo monetario internazionale, il Paese avrà bisogno di almeno 40 miliardi di euro l’anno nei prossimi due anni solo per mantenere in funzione l’apparato statale e difensivo. L’Ue, pur dichiarando la propria solidarietà, appare ancora divisa su come reperire quelle risorse senza esporsi a rischi giudiziari o politici.

Un equilibrio fragile tra politica e diritto

Dietro la prudenza europea si nasconde un problema più profondo: come conciliare la volontà politica di colpire Mosca con il rispetto delle norme internazionali sul diritto di proprietà. Alcuni giuristi ricordano che, anche se gli asset russi restano congelati, la loro confisca o il loro utilizzo a scopi finanziari costituirebbe un precedente giuridico di enorme portata, potenzialmente contestabile davanti a corti internazionali.

La Commissione, che ora dovrà presentare “opzioni alternative”, valuta anche ipotesi più indirette, come l’utilizzo dei profitti maturati dagli asset piuttosto che del capitale stesso. Ma anche questa strada presenta complessità e non ha ancora ottenuto il consenso unanime dei Ventisette.

Per ora, dunque, la partita resta aperta. Il vertice di dicembre si preannuncia come un passaggio decisivo per chiarire la posizione dell’Unione e per misurare quanto la solidarietà verso Kiev possa tradursi in un impegno finanziario concreto e condiviso.