Consigli regionali, segretari e portaborse licenziati. Panico nelle Regioni

Consigli regionali, segretari e portaborse licenziati. Panico nelle Regioni
11 novembre 2016

“Se volete che non vengano più dati soldi ai gruppi politici nelle Regioni votate sì”. Parola di Matteo Renzi. Populista e brutale forse, ma rende bene l’idea. Perché, nelle disposizioni finali della riforma costituzionale, il secondo comma dell’articolo 40 del Ddl Boschi così recita: “Non possono essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali”. Dopo gli scandali che hanno investito un po’ tutte le Regioni si passa così dal troppo al troppo poco. Perché se è vero che molte inchieste su governatori e consiglieri stanno finendo in archiviazioni o assoluzioni (Cota ultimo in ordine cronologico), è innegabile che tagliando del tutto i fondi i gruppi politici rischiano di non poter funzionare e la democrazia di uscirne malconcia. I consiglieri dal primo gennaio potrebbero ritrovarsi senza segretari d’aula, ufficio legislativo, addetto stampa. E senza fondi per le spese di funzionamento. Tutte le leggi regionali, infatti, prevedono che ai gruppi politici vengano trasferite delle somme in base al numero dei consiglieri. Nel Lazio, ad esempio, a ciascun gruppo consiliare spettano 30mila euro ad eletto per le spese di personale.

A questa somma si aggiungono generalmente delle somme per le spese di funzionamento: pese di cancelleria; acquisto di libri, quotidiani e riviste; spese telefoniche e postali; promozione dell’attività del gruppo; acquisto di spazi pubblicitari per la promozione dell’attività del gruppo. Nel caso del Lazio, ogni capogruppo ha diritto ad altri tre collaboratori di segreteria collegati alla conferenza dei capigruppo. Una segreteria a parte è appannaggio dei membri dell’Ufficio di presidenza e dei presidenti i commissione. Per quanto riguarda il personale, i gruppi possono decidere di far assumere i propri collaboratori dal Consiglio con un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o provvedere loro stessi, decidendo come ripartire le somme. Ciascun consigliere può decidere di avere un o più collaboratori o Co.Co.Co., purché non sfori il budget. Il Jobs Act ha però complicato le cose: con il contratto a tutele crescenti dopo tre anni il lavoratore o va a casa o viene assunto. Una legislatura dura – a meno di scioglimento anticipato – cinque anni: cosa accadrà per i dipendenti dei gruppi? La Corte dei conti, poi, ha richiamato più volte i capigruppo di diverse Regioni sull’uso dei fondi e sulle assunzioni, tuttavia dimenticando spesso che si tratta di rapporti fiduciari e come tali in linea di principio non sindacabili. Ma torniamo alla riforma costituzionale.

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Se vincerà il sì dal primo gennaio tutti i segretari d’Aula resteranno disoccupati. Logico che nei Consigli regionali di tutta Italia sia scattato il campanello d’allarme. In Lombardia, ad esempio, sono circa 200 le famiglie che rischiano di trovarsi sul lastrico dall’oggi al domani. Altrettante nel Lazio. E senza i dipendenti dei gruppi ai consiglieri regionali sarebbe precluso lo svolgimento dell’attività politica e di quella istituzionale. Un problema non di poco conto. Anche perché l’articolo 41 del Ddl Boschi precisa che le disposizioni che riguardano gli stipendi degli eletti nelle Regioni e i gruppi politici sono “di immediata applicazione”. Mentre quelle sul nuovo Senato, dunque tutte le modifiche relative al bicameralismo, si applicheranno a partire dalla prossima legislatura. Il che significa che se passa la riforma i dipendenti dei gruppi dovranno essere licenziati. Il sito ufficiale di “Basta un Sì” ritiene la decisione di abolire i fondi ai gruppi una “misura ispirata al principio di trasparenza”. Un rapporto OpenPolis del luglio scorso rivela che nel 2014 (dopo i tagli drastici effettuati in tutte le Regioni), i gruppi consiliari regionali hanno speso circa 30 milioni di euro, pari a una media di 39mila euro annui per ogni consigliere o a 60 centesimi per abitante. L’esercizio della democrazia vale o no 60 centesimi l’anno a cittadino? Gli italiani lo decideranno il 4 dicembre.

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