Da Ronconi a ‘Il Comissario Ricciardi’, Pirrello si racconta

Da Ronconi a ‘Il Comissario Ricciardi’, Pirrello si racconta
Mario Pirrello
25 gennaio 2021

Da giovane sognava di fare il cuoco a Londra. Poi però è entrato alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Torino e dopo oltre 20 anni di carriera in teatro ora approda in tv e al cinema. È Mario Pirrello, classe 1972, attore noto ai critici e agli appassionati di teatro, che da oggi vedremo in prima serata su Rai Uno accanto a Lino Guanciale, nei panni del vice questore Angelo Garzo ne “Il Commissario Ricciardi”, adattamento televisivo dei romanzi di Maurizio De Giovanni, firmato dal regista Alessandro D’Alatri. “L’inizio di tutto fu a Moncalieri, alle porte di Torino. Facevo il militare, ero cuoco, al sabato non mi perdevo uno spettacolo dei ‘Soggetti’ al Circolo Dravelli. Ridevo come un pazzo e andavo a dormire pensando: voglio partecipare a questo tipo di gioia, ma non come spettatore. Mi iscrissi allora a un corso di teatro proprio al Dravelli con Michele Di Mauro e Roberto Pietrolini. Ricordo ancora i loro consigli: qui puoi solo comprendere se ami recitare. Se vuoi fare questo mestiere devi iscriverti a una scuola nazionale”.

Detto fatto: si iscrive alle selezioni per entrare alla scuola del Teatro Stabile di Torino. “Il piano era: faccio l’audizione, se non mi prendono vado a Londra, a raggiungere i miei ex compagni dell’Istituto alberghiero per tentare la fortuna. Tra loro c’era chi faceva il cameriere chi l’aiuto cuoco, tutti con il sogno di imparare l’inglese e aprire un proprio locale”. Inutile dire che Londra sta ancora aspettando. Pirrello finì nelle grinfie di Ronconi e da lì non ha mai smesso di recitare. “Quando mi sono diplomato allo Stabile Mauro Avogadro mi ha traghettato nel mondo del lavoro e fin da subito mi ha coinvolto nei suoi lavori”, ha ricordato Mario Pirrello. E così a soli 25 anni si trova a lavorare con Gabriele Lavia. “Era la prima volta che vedevo un uomo di teatro seguito non solo da estimatori ma proprio da fan che lo aspettavano fuori dal teatro o dal ristorante anche solo per toccarlo. Impareggiabile la sua capacità tecnica e impostazione vocale che non l’abbandona mai, neanche in situazioni informali”, ha ricordato.

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Da allievo di Ronconi si ritrovi con Lavia: come è successo? “In effetti Lavia era considerato distante dai dettami della scuola. Quando però veniva a farmi i complimenti per me era fantastico. Dentro di me pensavo con ingenuità di aver unito due mondi che non dialogavano. Del resto Lavia, quando aveva lo spirito giusto, era impressionante nelle sue interpretazioni che potevano cambiare radicalmente a seconda del pubblico che aveva di fronte”. Un altro mostro sacro con cui ha lavorato a Torino è Pina Bausch. Come accadde? “Lo stabile mi chiamò per fare la voce fuori campo dello spettacolo `Kontakthof’. Ero agitatissimo. Fu una delle tensioni più grandi della mia vita. Rovinare uno spettacolo di Pina Bausch recitando dietro le quinte un piccolo brano sulle anatre selvatiche era uno spettro che mi terrorizzava. Anche perché dovevo tradurre dal vivo un piccolo filmato in tedesco che non comprendevo assolutamente e con gli occhi sgranati mi affidavo al direttore di scena che mi dava gli attacchi. Un’emozione bella e terribile allo stesso tempo. Bella perché ho avuto la possibilità di aggirarmi per il teatro e per i camerini. C’era un gruppo di uomini e donne, che costituivano lo spettacolo, tra i 75 e i 93 anni. Mi colpì la dignità di quelle persone, il loro prendersi cura di se stessi e l’enorme disponibilità al gioco. Respirare personalità come Pina Bausch e i suoi ballerini per quei 10 giorni è stato davvero un privilegio”.

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Poi sono arrivati altri ruoli per registi importanti. “Sì, alcuni per me inaspettati. Mario Martone mi chiese se potevo sostituire un attore per le `Operette morali’. C’era Carpentieri che era davvero magnifico. Dovevo fare lo spettacolo senza la possibilità di provare adeguatamente e quindi dovevo arrivare al debutto con tutto chiaro e preparatissimo. Fu Paola Rota che mi allenò a ripetere lo spettacolo e alla fine malgrado l’emozione andò tutto per il meglio. Fu una bella esperienza”. Esperienza che non passò inosservata: Mario Martone l’ha poi chiamato per “La Morte di Danton”. “Ero felicissimo. Anche se mi sarebbe piaciuto avere più responsabilità nello spettacolo i mesi passati ad osservare il suo modo di lavorare mi ha mostrato il suo gusto per la vita e la totale fiducia che ha negli attori che sceglie”. Quali altri autori sono stati importanti per lei? “Di sicuro Arcuri. Lavorare con lui ha modificato il mio modo di stare in scena e grazie a lui mi sono avvicinato al lavoro davanti la cinepresa”. Dopo un piccolo ruolo ne “I delitti del barlume” il grande salto in televisione è arrivato quest’anno con Alessandro d’Alatri. “Sì, D’Alatri mi ha dato fiducia. Il personaggio nato dalla penna da De Giovanni è un uomo ridicolo e inadeguato a gestire il potere, che vive nella paura di pestare i piedi a nobili e a gerarchi fascisti, è per questo preferisce avere un colpevole di comodo piuttosto, che averne uno vero, ma ingombrante”.

Un bilancio di questa prima esperienza sul set a Napoli? “Spero di aver lanciato un seme che possa portare ad altre esperienze. Con D’Alatri è molto bello lavorare: lui ama dirigere gli attori di cui conosce bene i meccanismi e Lino Guanciale che avevo conosciuto già 10 anni prima a teatro è un piacere condividere il lavoro con lui, in oltre mi è stato molto utile osservare come il suo lavoro sul set. Perché, è banale dirlo, ma il teatro e il lavoro davanti la cinepresa seguono regole differenti pur essendo lo stesso gioco. Prossimamente lo vedremo anche su Netflix. “Sì, a Novembre ho terminato le riprese dell’ultimo film di Marco Tullio Giordana. Non so quando uscirà e posso solo dire che tratterà della ricostruzione delle indagini di un omicidio che scosse profondamente l’Italia 10 anni fa”. Insomma sembra essersi aperta una seconda vita televisiva e cinematografica per Pirrello, eppure ascoltandolo raccontare gli aneddoti della vita teatrale, prima dell’epidemia di Covid, si percepisce che il suo vero amore è proprio il teatro. “È vero – ammette – gli ultimi spettacoli che ho fatto, inoltre ne hanno ravvivato la fiamma. Parlo di ‘Spettri’, ‘Lo zoo di Vetro’ e ‘La Citta morta’ frutto del dialogo artistico con Leonardo Lidi che ne firma la regia”. Lidi è uno dei registi più dotati del panorama italiano e proprio con “Spettri” si fece notare, qualche anno fa, vincendo alla Biennale di Venezia il premio per la regia under 30. C’è da scommettere che il sodalizio con Lidi sarà foriero di altri spettacoli da palmarès. Se solo i teatri riaprissero. askanews

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