Dazi, Trump sfida i giudici: “Li imporremo comunque”. 50 miliardi di perdite, mercati nel panico

La battaglia legale sui dazi di Trump infiamma Washington. Tre giudici federali bloccano le tariffe globali, l’amministrazione fa ricorso d’emergenza e ottiene una sospensione temporanea. In gioco l’autorità presidenziale e l’equilibrio dei poteri.

US Court of International Trade di New York (1)

US Court of International Trade di New York

È guerra aperta tra Casa Bianca e magistratura sui dazi di Donald Trump. Al centro della contesa, l’autorità del presidente di imporre tariffe unilaterali che stanno ridisegnando gli equilibri commerciali mondiali.

Il verdetto che ha gelato Washington

La prima mazzata è arrivata dalla US Court of International Trade di New York. Tre giudici – bipartisan per nomina presidenziale – hanno bocciato senza appello la strategia tariffaria trumpiana: “Il presidente non ha l’autorità di imporre dazi globali”. Una sentenza unanime che ha fatto tremare i piani dell’amministrazione.

Nel mirino i “dazi reciproci”, le tariffe punitive del 25% contro Canada e Messico (ufficialmente per l’immigrazione) e quelle del 20% sulla Cina (per il fentanyl). Tutte imposte invocando l’International Emergency Economic Powers Act del 1977, una legge mai utilizzata prima per questioni commerciali.

Ultimatum di ferro: dieci giorni per cancellare tutto. Salvi solo i dazi su acciaio, alluminio e auto, questi sì legittimati dalla Section 232 per “sicurezza nazionale”.

La controffensiva della Casa Bianca

Trump non ci sta. Peter Navarro, il falco del commercio, promette battaglia: “Risponderemo con forza, troveremo il modo di imporre i dazi anche perdendo in tribunale”. L’amministrazione grida al complotto dei “giudici attivisti”: “Non spetta ai non eletti decidere su un’emergenza nazionale”.

Mossa vincente, almeno per ora. L’appello d’emergenza funziona: la Corte superiore congela tutto “fino a nuovo avviso”. I dazi restano, la battaglia si sposta al piano superiore.

Le vittime collaterali

Dietro la guerra legale, storie di imprenditori travolti dalla tempesta. Victor Schwartz, 40 anni di import di vini con la sua Vos Selections, scopre di essere finito al centro dello scontro istituzionale mentre cucina la pasta. “Incredulità”, la sua prima reazione. “Non immaginavo di trovarmi contro il potere esecutivo degli Stati Uniti”.

Non è solo. Learning Resources e hand2mind, due importatori di giocattoli dell’Illinois, ottengono un secondo stop dai tribunali. Il giudice Rudolph Contreras blocca i dazi sui loro prodotti da sei paesi asiatici. Stesso argomento: “Il Congresso non ha mai autorizzato il presidente”.

Pechino alla finestra

La Cina osserva e rilancia. He Yongqian, portavoce del ministero del Commercio, chiede agli Usa di “cancellare tutti i dazi unilaterali impropri”. Da Ginevra arrivano segnali di dialogo, ma Pechino alza il tiro sui “controlli abusivi americani sui semiconduttori”.

I precedenti che fanno tremare

La decisione della US Court of International Trade non è isolata. Rappresenta il culmine di mesi di tensioni crescenti tra potere esecutivo e giudiziario sulla politica commerciale americana. Jane Restani, giudice nominata da Reagan e relatrice della sentenza, ha una lunga storia di decisioni che hanno limitato l’autorità presidenziale in materia di commercio internazionale.

Il caso più eclatante risale al 2019, quando la stessa corte aveva bloccato temporaneamente alcuni dazi di Trump contro l’acciaio cinese. Allora l’amministrazione riuscì a ribaltare la decisione in appello, ma la vicenda aveva già segnalato le crepe nel sistema. “I giudici stanno diventando sempre più scettici verso l’uso dell’emergenza nazionale per giustificare guerre commerciali”, spiega un esperto di diritto commerciale che preferisce rimanere anonimo.

L’effetto domino sui mercati

Wall Street ha reagito con nervosismo alla notizia del blocco iniziale, per poi tirare un sospiro di sollievo con la sospensione. L’indice Dow Jones ha oscillato di oltre 200 punti nella giornata più volatile, con i titoli delle multinazionali che fanno largo uso di importazioni particolarmente sotto pressione.

Tesla e Apple, fortemente esposte alla catena di fornitura cinese, hanno visto i loro titoli fluttuare selvaggiamente. Anche i produttori di vino californiani, preoccupati per possibili ritorsioni europee, hanno registrato cali significativi prima del recupero pomeridiano.

Gli analisti di Goldman Sachs stimano che l’incertezza sui dazi potrebbe costare all’economia americana fino a 50 miliardi di dollari nel prossimo trimestre, solo per l’effetto di rimandare investimenti e ordini internazionali. “Le aziende non sanno più su che terreno camminano”, commenta l’economista capo della banca d’affari.

Europa in allerta, Canada tira un sospiro

Oltreoceano, le capitali europee seguono con attenzione gli sviluppi. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha convocato d’urgenza una riunione del collegio dei commissari per valutare possibili scenari. Bruxelles ha già pronto un pacchetto di contromisure da 15 miliardi di euro, che potrebbe scattare automaticamente in caso di conferma dei dazi americani.

Il Canada, nel mirino delle tariffe punitive del 25%, ha sospeso le trattative per un nuovo accordo bilaterale con Washington. Justin Trudeau ha telefonato personalmente a diversi governatori degli stati di confine, promettendo investimenti miliardari per le imprese disposte a trasferire la produzione oltre confine.

Anche il Messico si muove. Il presidente ha annunciato un piano da 10 miliardi di dollari per rafforzare l’industria manifatturiera nazionale, puntando ad attrarre le aziende americane spaventate dall’instabilità normativa di Washington.

Il fattore Congresso

Su Capitol Hill cresce il malcontento, anche tra i repubblicani. Il senatore Mitt Romney ha definito “preoccupante l’uso sistematico dell’emergenza nazionale per aggirare il Congresso”. Più duro il democratico Chuck Schumer: “Trump sta trasformando la presidenza in una monarchia commerciale”.

La speaker della Camera Nancy Pelosi ha annunciato audizioni urgenti per la prossima settimana, chiamando a testimoniare i responsabili del commercio e i vertici delle aziende colpite. L’obiettivo è preparare una risoluzione bipartisan che limiti i poteri presidenziali in materia di emergenze commerciali.

Ma Trump ha ancora carte da giocare. Il vicepresidente JD Vance sta incontrando privatamente i senatori repubblicani per blindare il sostegno all’amministrazione. “Sono in gioco la sovranità americana e la sicurezza nazionale”, il messaggio che sta circolando negli ambienti conservatori.

La strategia legale in tre mosse

Gli avvocati della Casa Bianca hanno già preparato il piano B. Tre strade parallele per mantenere i dazi anche in caso di sconfitta definitiva: invocare la Section 301 per “pratiche commerciali sleali”, utilizzare la clausola di sicurezza nazionale anche per prodotti agricoli, e riclassificare alcuni dazi come “misure anti-dumping”.

La prima opzione permetterebbe di colpire la Cina mantenendo una base legale più solida. La seconda estenderebbe il concetto di sicurezza nazionale a settori come l’agroalimentare. La terza trasformerebbe i dazi politici in misure tecniche, più difficili da contestare in tribunale.

William Barr, ex procuratore generale e ora consulente legale informale dell’amministrazione, sta coordinando la strategia. “Abbiamo almeno cinque modi diversi per raggiungere lo stesso obiettivo”, avrebbe detto in una riunione riservata la scorsa settimana.

La posta in gioco

Non è solo questione di tariffe. È il cuore del potere presidenziale che pulsa in aula. Da una parte Trump che rivendica l’autorità di proteggere l’America dalle “minacce” commerciali. Dall’altra i giudici che tracciano i confini costituzionali dell’esecutivo.

La sospensione è solo una tregua. Con la Corte Suprema in agguato, si prospetta una resa dei conti storica sull’equilibrio dei poteri in America. E il mondo osserva, perché dalla scrivania ovale di Washington dipendono le sorti del commercio globale.

Gli esperti costituzionalisti sono divisi. Alan Dershowitz sostiene che “il presidente ha poteri impliciti enormi in materia di sicurezza nazionale”. Di parere opposto Laurence Tribe di Harvard: “Stiamo assistendo a un tentativo di trasformare la presidenza in una dittatura commerciale”.

I tempi della giustizia

La Corte d’Appello ha concesso all’amministrazione due settimane per presentare la documentazione completa. I giudici dovranno poi decidere se confermare la sospensione o ripristinare il blocco originario. In caso di conferma del blocco, la Casa Bianca ha già annunciato il ricorso immediato alla Corte Suprema.

I tempi potrebbero allungarsi fino all’autunno, creando mesi di incertezza per milioni di aziende e consumatori. “È il peggiore scenario possibile per chi deve pianificare investimenti e strategie commerciali”, lamenta il presidente della Camera di Commercio americana.

Intanto, le compagnie di assicurazione stanno registrando un boom di richieste per polizze che coprano i rischi legati alle variazioni tariffarie. Un business che potrebbe valere miliardi, segno di quanto l’incertezza stia penetrando nel tessuto economico.

Lo scenario peggiore

Se la Corte Suprema dovesse confermare il blocco dei dazi, Trump potrebbe trovarsi di fronte al più grande smacco della sua presidenza. Non solo perderebbe il suo strumento principale di politica estera, ma vedrebbe ridimensionata drasticamente l’autorità presidenziale per i successori.

Gli strateghi della Casa Bianca stanno già preparando il piano di comunicazione per questo scenario. “Trasformeremo la sconfitta giudiziaria in un grido di battaglia per le elezioni”, confida una fonte vicina al presidente. Il messaggio: i giudici “non eletti” stanno tradendo l’America.

Ma c’è anche lo scenario opposto. Una vittoria definitiva rafforzerebbe enormemente i poteri presidenziali, aprendo la strada a future guerre commerciali gestite direttamente dall’esecutivo senza controlli parlamentari. “Sarebbe la fine del sistema di pesi e contrappesi in materia economica”, avverte un ex funzionario del Tesoro.

Il dado è tratto. Ora tocca ai nove saggi di Capitol Hill decidere chi comanda davvero in America. Ma qualunque sia l’esito, questa battaglia segnerà per sempre il confine tra potere esecutivo e controllo giudiziario negli Stati Uniti del XXI secolo.