Giappone, monaci in affitto contro la fuga dai templi buddisti

Giappone, monaci in affitto contro la fuga dai templi buddisti
1 febbraio 2017

Un monaco in affitto. Kaichi Watanabe sembra un monaco buddista giapponese come tutti gli altri. Ma non è stato mandato da un tempio. I suoi servigi vengono richiesti via telefono, per mail oppure direttamente on line. Una bestemmia per i buddisti ortodossi secondo i quali in questo modo si commercializza la religione. Ma si tratta di fare di necessità virtù. “Il ruolo del monaco è rivelare il messaggio del Buddha”, spiega Watanabe. “Ma oggi sempre meno persone vengono a bussare alle porte dei nostri templi per ricevere l’insegnamento”.

Per 300 dollari una famiglia può affidarsi a una società rent-a-monk per celebrare un suffragio religioso in ricordo di un defunto. Una pratica che sta prendendo sempre più piede, pur tra mille polemiche. I templi una volta giocavano un ruolo centrale nella società giapponese. Ma mentre la popolazione sta invecchiando e le comunità rurali si stanno drammaticamente riducendo si stima che da qui a vent’anni oltre 20 mila dovranno chiudere i portali. Lasciando spazio a start-up come la Minrevi che impiega Kaichi Watanabe e che, partita tre anni fa, con oltre 12mila richieste all’anno ha messo a libro paga 700 operatori. Un segno dei tempi. “Stiamo semplicemente rispondendo a una precisa esigenza”, sottolinea Masashi Akita, vice-presidente della Minrevi, “proponendo una piattaforma che migliora la situazione dell’intero settore”. L’imperturbabilità del Buddha deve essere davvero infinita.

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