Hillary Clinton, l’uranio e i russi: tra fatti e accuse. Aperta inchiesta, pressing di Trump

Hillary Clinton, l’uranio e i russi: tra fatti e accuse. Aperta inchiesta, pressing di Trump
L'ex sottosegretario di Stato, Hillary Clinton
27 ottobre 2017

La commissione d’Intelligence della Camera statunitense, insieme alla commissione di Vigilanza e Riforme governative, ovvero la principale commissione investigativa dell’Aula, ha annunciato l’apertura di un’indagine formale sull’accordo del 2010 con cui la società russa che gestisce il settore nucleare ha ottenuto il controllo di un’ampia parte dell’uranio degli Stati Uniti. Si tratta di un caso che coinvolge Hillary Clinton, più volte citato dal presidente Donald Trump negli ultimi giorni e in campagna elettorale, su cui hanno indagato negli ultimi anni anche diversi giornalisti.

COSA SI SAPEVA 

Questa storia coinvolge una società che possiede una quantità significativa dell’uranio statunitense, la Fondazione Clinton e la decisione di diverse agenzie federali di permettere una maggiore influenza russa nel mercato dell’uranio statunitense. Il caso è emerso con forza nel 2015, con il libro ‘Clinton Cash’ del giornalista Peter Schweizer, che indagava sui fondi alla Fondazione Clinton. Poi, nell’aprile dello stesso anno, il New York Times ha raccolto e verificato le notizie contenute nel libro, su cui ha costruito il proprio reportage, aggiungendo interviste e controlli di dati pubblici in Canada, Russia e Stati Uniti. La società statale russa dell’energia atomica (Rosatom) ha lentamente acquisito, tra il 2009 e il 2013, Uranium One, una società canadese che possedeva circa il 20% della capacità produttiva di uranio degli Stati Uniti, con asset in Wyoming, Utah e altri zone del Paese; la percentuale è poi scesa all’11% nel 2014, secondo i dati di Oilprice.com. L’uranio è considerato un asset strategico, con implicazioni per la politica nazionale statunitense, e per questo l’accordo ha avuto bisogno dell’approvazione di una commissione composta dai rappresentanti di diversi dipartimenti governativi, ovvero la commissione sugli investimenti esteri negli Stati Uniti (Cfius), oltre a quelle della commissione regolatoria sul nucleare nazionale e delle autorità nucleari dello Utah. Tra i membri del Cfius c’è il dipartimento di Stato, allora guidato da Hillary Clinton.

PERCHE’ GLI USA APPROVARONO LA VENDITA 

Come scritto dal New York Times, gli Stati Uniti stavano cercando di “resettare” i loro rapporti con la Russia e di coinvolgerla nell’accordo sul nucleare iraniano. Secondo PolitiFact, è probabile anche che la cessione sia stata autorizzata perché, alla fine, non si trattava di un accordo così importante. Jeffrey Lewis, un esperto di nonproliferazione nucleare al Middlebury Institute ed ex direttore della New America Foundation, ha detto in un’intervista dello scorso anno a PolitiFact che “questa cessione ha avuto sulla sicurezza nazionale lo stesso impatto che avrebbe avuto il dar fuoco ai soldi. Probabilmente è per questo che l’hanno approvata”. L’uranio, inoltre, non può essere esportato dalla Russia, quindi è “in parte falso affermare che l’uranio ora è russo”, ha fatto notare Oilprice.com.

LE ACCUSE 

Nel giugno 2016, l’allora candidato Donald Trump – che correva contro Clinton per le presidenziali – accusò il dipartimento di Stato di aver “approvato il trasferimento del 20% dell’uranio americano alla Russia, mentre nove investitori nell’accordo versavano 145 milioni di dollari alla Fondazione Clinton”. Secondo PolitiFact, Trump era nel giusto a porre dei dubbi sui legami tra i donatori della fondazione e Uranium One, ma l’accusa specifica sarebbe esagerata: nove persone legate alla società effettivamente versarono delle donazioni alla Fondazione Clinton, ma la quasi totalità dei 145 milioni fu versata da Frank Giustra, finanziere canadese con forti legami con i Clinton, che però ha detto di aver venduto le sue azioni in Uranium One nel 2007, almeno 18 mesi prima che Hillary diventasse segretario di Stato e tre anni prima dell’accordo con cui i russi salirono al 51% della società (di cui assunsero il 100% della proprietà nel 2013).

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In questo caso, le donazioni delle persone legate all’accordo scenderebbero da 145 milioni a 4 milioni (ma PolitiFact specifica di non poter verificare indipendentemente le dichiarazioni di Giustra). Inoltre, il peso del dipartimento di Stato sulla decisione non era così decisivo. Restano, comunque, le ombre su Giustra, che è stato tra i maggiori finanziatori della Fondazione Clinton e che, grazie ai Clinton, ha ampliato la propria rete di affari nel mondo, secondo la stampa statunitense. Ci sono pochi dettagli pubblici sull’accordo su Uranium One e sul ruolo di Clinton, ha sostenuto factcheck.org. Lo staff di Hillary ha sempre sostenuto che lei non ha avuto alcun ruolo nell’approvazione dell’accordo e che non ha dato alcuna indicazione sulla posizione da tenere in commissione, come confermato da Jose Fernandez, funzionaria del dipartimento di Stato presente nel Cfius, al New York Times. Altri dubbi, almeno etici, riguardano l’assegno da 500.000 dollari per un discorso che Bill Clinton, nell’estate del 2010, mentre a Mosca la Pravda titolava “l’energia nucleare russa conquista il mondo”, riceveva da una banca d’investimento russa con legami con il Cremlino, che stava promuovendo le azioni di Uranium One.

LA STORIA TORNA IN SUPERFICE

Dopo la vittoria di Trump alle presidenziali, la questione dell’uranio è finita nel dimenticatoio, fino a un articolo apparso il 17 ottobre su The Hill, in cui si sostiene che, quando il Cfius stava valutando la cessione dell’uranio ai russi, l’Fbi stava indagando sulle mosse della Russia per far crescere i propri affari nell’industria nucleare statunitense. L’articolo sostiene che l’Fbi avesse le prove di un giro di mazzette, estorsioni e altri affari illeciti, iniziati nel 2009, per accrescere l’influenza di Putin negli Stati Uniti. The Hill, insomma, sostiene che Clinton sapesse, o avrebbe dovuto sapere delle indagini dell’Fbi, quando ha deciso (lei o comunque il dipartimento) di dare il via libera all’accordo. Il dipartimento di Giustizia, ha scritto The Hill, invece di presentare le accuse nel 2010, “continuò a indagare per quasi quattro anni, lasciando essenzialmente al buio il pubblico americano e il Congresso sulla corruzione russa negli Stati Uniti, in un periodo durante il quale l’amministrazione Obama prese due grandi decisioni che andarono a beneficio delle ambizioni commerciali nucleari di Putin”.

COSA RESTA DA CHIARIRE

La domanda è: cosa sapeva Clinton sulle indagini, in un momento in cui avrebbe potuto usare il suo ruolo per bloccare l’accordo? Per ora, non ci sono prove che Clinton sapesse delle indagini e l’articolo di The Hill pende per l’opzione che non sapesse nulla; anche un paio di fonti di PolitiFact hanno detto che è probabile che Clinton non sapesse nulla e che comunque sia restata totalmente fuori dal processo decisionale su Uranium One. Sarebbe importante capire il ruolo dell’allora segretario alla Giustizia, Eric Holder, il cui dipartimento, a sua volta, faceva parte della commissione che aveva in mano il destino dell’accordo. Alle nuove accuse, Hillary Clinton ha risposto: “Sono tutte sciocchezze”.

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