I conti di Renzi non tornano. Il Pd ha un “rosso” di 10 milioni di euro

11 giugno 2014

Fundraising. Al Nazareno la parola il tema è ormai all’ordine del giorno e, appena tornerà dalla trasferta asiatica, Matteo Renzi dovrà cominciare a farci i conti. Nell’accezione letterale del termine. L’ultimo bilancio del Partito democratico, quello relativo all’anno 2013, è stato infatti chiuso con una perdita che supera i 10 milioni di euro. Giovedì alle 19 è convocata la Direzione nazionale del partito che, secondo quanto prevede lo Statuto, dovrà votare il bilancio prima dell’Assemblea nazionale di sabato. Il passivo finale supera di gran lunga le stime fatte dal tesoriere del partito Francesco Bonifazi, in carica da dicembre dopo la vittoria alle primarie di Matteo Renzi. Bonfiazi aveva preventivato un rosso di circa 7 milioni. Ma la perdita del partito è stata superiore. Con l’approvazione dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti – che enterà a regime solo a partire dal 2017 con l’effettivo azzeramento dei contributi pubblici – e l’avvento del finanziamento privato con elargizioni liberali da parte di aziende e singoli e la possibilità di devolvere il due per mille, tutti i partiti devono cominciare a organizzare la raccolta fondi. Un problema che FI si sta ponendo da tempo e che anche il Pd – che ha oltre 180 dipendenti, senza contare le sedi – dovrà affrontare.

Probabile che la questione venga posta dal premier-segretario già in Direzione. Nel frattempo al Nazareno si lavora per ricomporre un quadro unitario tra il fronte renziano e le altre componenti Dem. La sconfitta nelle roccaforti di Livorno e Perugia aveva alimentato il fuoco delle polemiche – che sembrava sopito dopo il 40,8% delle europee – con accuse al vetriolo alla vecchia classe dirigente ex Ds bersaniana. Una guerra a colpi di comunicati inedita per il Pd scoppiata in assenza di Renzi, in missione in Asia. “Il percorso della gestione unitaria resta intatto”, smorza i toni il vicesegretario Lorenzo Guerini che sta tenendo i contatti in vista dell’Assemblea che dovrà eleggere il nuovo presidente. In lizza il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che accetterebbe solo con un largo consenso.

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Renzi cerca un nome di garanzia: anche De Micheli, lettiana di ferro, risponderebbe a questo requisito, oltre a quello di genere. In alto mare il lavoro per la riorganizzazione della segreteria per la quale si aspetta la convocazione di una direzione ad hoc. La minoranza – tranne quella civatiana – entrerà nell’esecutivo del Nazareno. A Micaela Campana potrebbe andare la delega a Scuola e Istruzione. Altri nomi caldi Roberto Morassut, Vinicio Peluffo, Enzo Amendola (per gli Esteri). La partita cruciale è quella per la delega all’Organizzazione: in corsa due renziani doc come Stefano Bonaccini (attualmente agli Enti locali) e Davide Faraone (oggi al Welfare).

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