Una tregua sulla carta, ma non sul campo. India e Pakistan hanno firmato ieri, sotto la pressione degli Stati Uniti, un accordo per fermare gli scontri che in quattro giorni hanno insanguinato il Kashmir. Ma le armi non si sono ancora zittite.
A poche ore dalla stretta di mano diplomatica, nuovi boati hanno squarciato la notte tra Srinagar e Jammu. Droni in volo, esplosioni, accuse incrociate: la pace, per ora, è solo un’illusione.
La tregua che non convince
L’annuncio era arrivato in pompa magna. Donald Trump, con un post su Truth, aveva battuto la notizia: “Missione compiuta: India e Pakistan hanno accettato il cessate il fuoco”. Poi, i comunicati ufficiali: da Islamabad, il ministro degli Esteri Ishaq Dar aveva parlato di “passo verso la stabilità”; da New Delhi, il sottosegretario Vikram Misri aveva confermato l’intesa.

Ma la realtà è più sporca. Fonti locali e rapporti di Reuters raccontano di colpi di mortaio nella valle del Kashmir già nella prima notte di tregua. Chi ha sparato per primo? L’India punta il dito contro il Pakistan. Islamabad ribatte: “Sono loro a violare l’accordo”. La verità? Nella nebbia della guerra, nessuno ammetterà mai la colpa.
Sangue e missili: la miccia era già accesa
Tutto era iniziato martedì notte, quando i caccia indiani hanno sganciato missili su villaggi pakistani, uccidendo almeno 20 persone. Una rappresaglia, aveva detto Delhi, per l’attentato del 22 aprile a Pahalgam, dove un commando jihadista aveva massacrato turisti indiani. “Il Pakistan li finanzia”, l’accusa. “Falso”, la replica di Islamabad.
Poi, il baratro: artiglierie che tuonano lungo la Line of Control, droni che sorvolano le basi, cinque jet indiani abbattuti (secondo i pakistani). Fino all’ultimatum nucleare: il premier Shehbaz Sharif convoca d’urgenza l’Autorità per il controllo degli armamenti atomici. Un messaggio chiaro: “Non ci faremo annientare”.
Il mondo trattiene il fiato
Washington, Pechino, il G7: tutti in coro hanno implorato la pace. Il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha lavorato notte e giorno al telefono con i due rivali. La Cina ha parlato di “rischio catastrofe”. Ma i fronti restano duri: l’India non perdona il terrorismo, il Pakistan non cede sul Kashmir.
E ora? L’accordo reggerà? I raid di ieri notte lasciano pochi dubbi: la guerra è solo sospesa, non finita. Se la diplomazia fallirà, il prossimo passo potrebbe essere una escalation senza ritorno. In gioco c’è il destino di una regione dove due potenze atomiche si guardano nel mirino. Una cosa è certa: il Kashmir continua a bruciare.