Italia resta fanalino di coda su aiuti banche, in Ue 1.900 mld. Bad bank, occasione mancata

Italia resta fanalino di coda su aiuti banche, in Ue 1.900 mld. Bad bank, occasione mancata
12 gennaio 2017

Mentre in Italia si discute di commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche e sulla proposta del presidente dell’Abi di pubblicizzare i nomi dei principali debitori, il governo britannico attraverso la bad bank UK Asset Resolution sta ultimando la cessione di un portafoglio di mutui da 12,5 miliardi di sterline emessi dalla Bradford & Bingley prima del suo collasso nel 2008. Ed è notizia di pochi giorni fa che il Tesoro di Sua Maestà non è più il principale azionista di Lloyds Banking Group, con una quota scesa sotto il 6%, alle spalle del colosso del risparmio BlackRock. Nelle stesse ore in Italia è iniziato il delicato, inesplorato e complesso percorso per l’intervento pubblico nel capitale di Mps dopo il fallimento dell’aumento di capitale attraverso i privati.

OTTO ANNI CRISI La crisi del sistema bancario mondiale ha festeggiato l’ottavo anniversario già da qualche mese, ma a leggere le cronache italiche sembra di essere ancora agli inizi. In questo periodo cinque governi si sono esercitati sui problemi del credito, da Berlusconi-Tremonti a Gentiloni-Padoan, passando per Mario Monti. Ogni esecutivo ha sbandierato la solidità del sistema bancario italiano mentre la profonda recessione ha fatto lievitare di tre volte il volume delle sofferenze. Ogni governo ha varato provvedimenti e strumenti a sostegno delle banche e del credito, certamente utili, ma sulla cui tempestiva efficacia qualche riserva è più che lecita. Prima i Tremonti-Bond, poi i Monti-Bond fino alla Gacs di Renzi-Padoan solo per citarne alcuni. In cifre qualcosa come 4 miliardi di euro di aiuti pubblici impiegati con un ritorno positivo per le casse dello Stato ai quali andranno sommati i 20 miliardi stanziati nel decreto salva banche. Una goccia nel mare degli aiuti di Stato elargiti a piene mani dai paesi europei per fronteggiare il crac delle banche. Oltre 4.800 miliardi di euro approvati e 1.930 miliardi utilizzati di cui 453 miliardi per aumenti di capitale. Dai 239 miliardi della Germania ai 162,5 miliardi della Gran Bretagna. Quasi 20 miliardi spesi dal Belgio e 7 miliardi dalla Slovenia.

BAD BANK Oltre 50 miliardi in Irlanda e Spagna e alcuni giorni fa la Corte dei Conti spagnola ha calcolato che il salvataggio delle banche iberiche costerà almeno 80 miliardi. Solo per Bankia, l’ex Cassa di Madrid, il contribuente spagnolo ha versato già 22,4 miliardi di euro e recentemente la banca centrale ha rivelato che sui 51,3 miliardi di euro per il salvataggio delle banche solo il 5% è stato recuperato e una cifra di almeno 26 miliardi sarà a fondo perduto. La Spagna insieme a Portogallo, Grecia e Irlanda è intervenuta a sostegno delle banche con risorse dei partner europei (40 miliardi) concordando un piano con la Troika (Commissione Ue, Bce e Fmi). L’Italia ha sempre escluso l’ipotesi del commissariamento, ma i quattro paesi sotto tutela non hanno neanche avvicinato gli obiettivi concordati di finanza pubblica, Spagna e Portogallo in primis. In questi otto anni e oltre ci sono state occasioni mancate. L’Italia non ha proceduto a varare una bad bank come la Nama irlandese o la Sabre spagnola, la slovena Bank Asset management o le due agenzie tedesche EAA e FMS-WM. Ma è grazie a questi interventi tempestivi e costosi che un colosso come il Santander esattamente due anni fa ha potuto completare un aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro in poche ore. E ancora nel febbraio del 2015 il governatore di Bankitalia Ignazio Visco auspicava la creazione di una bad bank per affrontare il tema delle sofferenze.

BAIL-IN Invece, come spesso accade nello Stivale, la questione banche si è subito trasformata in terreno di scontro politico, alimentando un clima avvelenato in nome della tutela dei risparmiatori e correntisti con i partiti impegnati soprattutto a lanciarsi reciproche accuse piuttosto che ricercare soluzioni efficaci e definitive. Gli unici momenti di condivisione nella politica italica si sono manifestati quando si è trattato di criticare l’Europa o accusare la Germania, colpevoli di vietare l’intervento dello Stato a sostegno delle banche, o di discriminazioni tra i paesi del club dell’euro. Ad esempio è improprio citare i casi dei fondi pubblici autorizzati da Bruxelles per la HSH Nordbank e per la portoghese Banif. La prima è pubblica dalla costituzione e la seconda da tre anni. Intanto la normativa europea si modificava, basandosi su un principio condiviso: i salvataggi bancari non potranno più essere realizzati gravando interamente sulle tasche dei contribuenti. Così abbiamo scoperto all’improvviso la norma sul bail-in, quando un anno fa stavano per saltare le quattro famigerate banche (Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche), ignorando che nell’estate del 2013 la Commissione europea aveva tracciato un solco in materia di interventi pubblici per i salvataggi bancari. E che le stesse istituzioni europee non vietarono l’intervento pubblico.

I BOND Tra le occasioni mancate si possono annoverare anche i Tremonti e i Monti Bond, quest’ultimi utilizzati solo da Mps. Era sufficiente convertirli in capitale per assicurare un diverso e meno impervio percorso al risanamento della più antica banca del mondo. Dopo tre aumenti di capitale per 11 miliardi andati in fumo, era ipotizzabile un’altra iniezione di capitali privati da 5 miliardi? E’ vero che la crisi delle banche in Spagna, Irlanda e in parte quella tedesca è profondamente diversa rispetto ai problemi del credito in Italia. In quei paesi l’esplosione delle sofferenze e delle perdite era concentrata sul settore immobiliare. I problemi della Penisola sono il risultato di una dura e lunga recessione economica. Ma il problema delle sofferenze non è stato affrontato con decisione. L’abbattimento dei tempi per il recupero crediti, la via italiana alla bad bank con la Gacs sono utili in prospettiva. Ma occorre ben altro per colmare il profondo gap tra valore di mercato delle sofferenze bancarie e il valore in bilancio. Il crollo in Borsa delle banche a inizio 2016 non è stato un complotto di poteri occulti, ma il razionale calcolo di analisti e investitori che hanno applicato ai non performing loans del sistema bancario italiano il prezzo del 17,5% utilizzato per la risoluzione delle quattro banche. Forse ne verrà un beneficio. Anche quattro piccoli istituti possono rappresentare un rischio sistemico.

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