La diplomazia cerca un accordo, ma il Medio Oriente rischia una guerra totale

La diplomazia cerca un accordo, ma il Medio Oriente rischia una guerra totale
Il gruppo libanese Hezbollah
17 agosto 2024

E’ un momento cruciale, in cui c’è il rischio d’infiammare l’intero Medio Oriente innescando una situazione ingestibile. Motivo per il quale, i due ministri degli Esteri di Gran Bretagna e Francia sono volati nell’area per cercare di sostenere lo sforzo per un accordo per il cessate-il-fuoco in cambio della restituzione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, nelle ore in cui si trattava su questo a Doha.

 

Oggi, inoltre, David Lammy e Stéphane Séjourné hanno co-firmato un articolo pubblicato per l’Observer nel quale hanno avvertito sulla possibilità che si sviluppi una “guerra regionale su vasta scala”. “I combattimenti tra Israele e Hezbollah libanese si sono intensificati”, hanno segnalato i due ministri. “Le minacce iraniane di ulteriori escalation aumentano i rischi di una guerra regionale su larga scala”, hanno continuato. “Un errore di calcolo, e la situazione rischia di precipitare in un conflitto ancora più profondo e ingestibile. Questo ciclo, con la sua tendenza all’escalation, rende più difficile il progresso verso una soluzione politica”.

Attacco iraniano avrebbe conseguenze devastanti

Un conflitto totale nella regione “non è nell’interesse di nessuno”, scrivono Lammy e Séjourné. “Tutte le parti devono mostrare moderazione e investire nella diplomazia. Qualsiasi attacco iraniano avrebbe conseguenze devastanti, non ultimo il fatto di minare i negoziati attuali per il cessate il fuoco a Gaza”, segnalano ancora i capi delle due diplomazie, che per la prima volta in 10 anni si trovano in una visita congiunta.

“La nostra partecipazione rafforza la nostra convinzione che garantire urgentemente un accordo è nell’interesse di israeliani, palestinesi e della regione più ampia. Solo un accordo può alleviare le sofferenze dei civili. Solo un accordo può ripristinare il senso di sicurezza delle comunità. Solo un accordo può aprire lo spazio per un progresso verso una soluzione a due stati – l’unica via a lungo termine per la sicurezza, la dignità e la sicurezza per israeliani e palestinesi”.

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A Doha nessuna svolta

L’articolo esce mentre il segretario di Stato americano Antony Blinken è in viaggio verso Israele, dove in questo fine settimana perorerà la causa della proposta americana per arrivare a un accordo. I colloqui di Doha si sono conclusi senza una svolta, ma con una nuova convocazione che sarà al Cairo. Il presidente americano Joe Biden ha espresso un certo ottimismo, sostenendo che l’accordo “non è mai stato così vicino”. E anche i negoziatori israeliani hanno comunicato al primo ministro Benjamin Netanyahu – secondo quanto ha dichiarato il suo ufficio – “un cauto ottimismo” sulle trattative. Ma, a spegnere gli entusiasmi, è arrivata Hamas.

“Dire che siamo vicini a un accordo è un’illusione”, ha dichiarato Sami Abu Zuhri, membro dell’ufficio politico, all’AFP. “Non siamo di fronte a un accordo o a veri negoziati, ma piuttosto all’imposizione di diktat americani”. Hamas e Israele hanno concordato in linea di principio il mese scorso di attuare un piano in tre fasi, proposto da Biden a maggio, ma entrambe le parti hanno richiesto “modifiche” e “chiarimenti”, lasciando i colloqui in stallo. I due sono divisi rispetto al tema della presenza stabile delle truppe israeliane al confine tra Gaza ed Egitto, la sequenza del rilascio degli ostaggi e la presenza delle forze di Hamas a Gaza nord.

Secondo quanto riportato da Channel 12 news, che però non cita fonti a supporto, al tavolo di Doha la proposta americana accoglie diverse richieste di Israele, ma non prevede una presenza continuativa delle forze israeliane lungo il confine tra Gaza ed Egitto né un meccanismo per impedire il ritorno delle forze armate di Hamas nel nord di Gaza. Se Washington riuscirà a convincere Israele ad accettare queste condizioni, Qatar ed Egitto faranno pressione su Hamas perché accetti l’accordo. Sarà questo il compito di Blinken rispetto a Netanyahu.

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Israele non cessa gli attacchi

Mentre, però, si discute, si continua anche a morire. Attacchi israeliani hanno interessato oggi l’area centrale di Gaza. Almeno 15 palestinesi – appartenenti a una stessa famiglia e, tra loro, bambini – sono rimasti uccisi e decine sono i feriti. Questi numeri hanno portato ormai a oltre 40mila, secondo i dati forniti dalle autorità sanitarie di Gaza, i palestinesi uccisi dall’inizio del conflitto. E, a questo, si aggiunge l’allarme per la situazione sanitaria. Le agenzie umanitarie dell’Onu hanno chiesto una tregua sanitaria per consentire una vaccinazione anti-polio, dopo che un bambino palestinese (rifugiato in Libano) è risultato essere il primo contagiato dalla malattia da 25 anni a questa parte.

A peggiorare ulteriormente la situazione, inoltre, è anche il restringimento ulteriore dell’area sicura umanitaria. Circa 170.000 persone sfollate sono di nuovo in movimento attraverso Gaza centrale e meridionale dopo nuovi ordini di evacuazione da parte dell’esercito israeliano, incluse aree precedentemente designate come “zone sicure” umanitarie. Le forze israeliane hanno infatti annunciato una nuova operazione terrestre nell’area di Khan Younis la scorsa settimana dopo aver dichiarato che le aree in cui avevano ordinato ai civili di fuggire erano state utilizzate da Hamas per lanciare sparare colpi di mortaio e razzi verso Israele. Questo riduce l’area umanitaria a soli 41 km quadrati, che rappresenta solo l’11% della superficie della Striscia di Gaza.

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Rischio escalation

Le tensioni sono cresciute ulteriormente anche tra Israele e la milizia libanese sciita Hezbollah, dopo dopo un attacco aereo israeliano nel sud del Libano, che ha ucciso almeno 10 cittadini siriani. Israele ha dichiarato di aver colpito un deposito di armi di Hezbollah e, un episodio separato, di aver ucciso un comandante delle forze di élite della milizia.

Il rischio di escalation, insomma, continua a essere costante e, al momento, il fatto che sia in corso una trattativa sembra – secondo diversi osservatori – il vero motivo per il quale non si è innescata una possibile ritorsione iraniana contro Israele dopo l’assassinio del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran il mese scorso, così come l’uccisione di un comandante di Hezbollah a Beirut.

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