La zampata del giaguaro ha smacchiato Bersani

17 agosto 2014

Chi doveva vincere le elezioni – Pier Luigi Bersani – quello che da due mesi era dato come premier in pectore, le ha perse malamente. E chi era dato per spacciato, sepolto, finito – Silvio Berlusconi – ha invece dimostrato di essere ancora capace di essere votato da un italiano su tre. Il vincitore vero, invece, è stato Beppe Grillo che ha letteralmente devastato il centrosinistra, andando a rubare la maggior parte delle preferenze proprio al Partito Democratico e diventando il primo partito alla Camera. Ininfluente il risultato di Mario Monti, sia alla Camera sia al Senato. Anche a palazzo Madama la truppa di Scelta Civica non ha i numeri per far governare nessuna delle due coalizioni. Una situazione che però disegna un Parlamento incapace di esprimere un governo. Perché alla Camera c’è una maggioranza di centrosinistra, anche se il distacco è minimo, di poco meno di 200 mila voti, mentre al Senato il centrosinistra, anche se è avanti, non ha comunque i parlamentari sufficienti per governare da solo. Cioè quella famosa soglia di 158 senatori.

Una situazione, alla fine, ancora più complicata di quella in cui si trovò Romano Prodi nel 2006. Ma quello di ieri è anche un risultato che consegna a una pensione politica inaspettata di Gianfranco Fini sia Antonio Di Pietro. Uniti da un medesimo destino anche se ci sono arrivati per strade diverse: il primo dopo aver sognato di costruire un centrodestra alternativo e capace di sostituire Berlusconi, il secondo “avvelenato” da una serie di scandali nel suo partito che lo hanno consegnato alle retrovie nelle liste di Rivoluzione Civile. Tramonta anche il sogno politico di Antonio Ingroia, il pubblico ministero che si era innamorato di un posto in Parlamento, visto che il suo partito non è riuscito a superare la soglia del 4 per cento. “Non è affatto uno scarso risultato – ha ribattuto piccato l’ex procuratore aggiunto di Palermo – Forse ha prevalso la campagna politica del centrosinistra, in particolare del Pd, contro di noi. Complimenti ai leader del centrosinistra». Per concludere con il solito attacco ai giornalisti: «Siamo stati oscurati da media e giornali”. Il dato più rilevante è comunque l’emorragia di consensi che in pochi mesi ha dissanguato Pier Luigi Bersani. A dicembre, dopo le primarie, il partito Democratico era dato nei sondaggi al 41% mentre il Pdl era al minimo storico, poco sopra il 15%, per di più dilaniato da lotte interne, con Berlusconi che minacciava di mollare il partito e fondarne uno nuovo di zecca. In due mesi il risultato è cambiato radicalmente. I numeri ci hanno consegnato un Pd che è riuscito a perdere ben 10 punti in percentuale. Che sono andati al Movimento 5 stelle.

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E in parte alla lista di Ingroia. Berlusconi, da parte sua, ha recuperato circa il 5 per cento. Una cifra che sommata al 10 per cento lasciato sul campo del Pd fa di Bersani un perdente assoluto, capace di dissipare nello spazio di una brevissima campagna elettorale un totale del 15 per cento di consensi. Un risultato che nessuno del centrodestra si sarebbe mai aspettato. Un defaillance che si è rivelata soprattutto nella sfida per il Senato. Il Pdl ha vinto addirittura in sette Regioni, quando i sondaggi più favorevoli fatti a via dell’Umiltà fino a un paio di giorni fa davano il successo solo in tre o forse quattro. Invece Berlusconi si è affermato in Lombardia (dove ha stravinto) Veneto, Campania, Abruzzo, Calabria, Puglia e Sicilia. In queste Regioni il successo del centrodestra è dovuto soprattutto all’arretramento clamoroso di Pier Luigi Bersani. Ma il Cavaliere ha avuto soprattutto il grande merito di resistere allo “tsunami” di Grillo. Le prime analisi dei flussi elettorali fatte dai partiti dicono che nel centrodestra, almeno al Senato, la Lega è quella che ha pagato più caro il tributo a Grillo, quasi il 3 per cento. In pratica dimezzando la percentuale di voti che aveva, quasi il 6 per cento. Il Pdl ha invece lasciato qualcosa sul campo dell’astensionismo. La percentuale di votanti in queste elezioni è infatti in calo rispetto al 2008: al Senato il 75,16% contro l’80,50% di cinque anni fa. Un dato che è praticamente simile a quello della Camera. Capitolo a parte quello di Mario Monti. La Lista Civica è stato l’altro, vero, flop di questa campagna elettorale.

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Il Professore ambiva a diventare l’ago della bilancia delle elezioni. Invece è risultato assolutamente ininfluente. Incapace anche di eleggere senatori in tutte le Regioni. In Sicilia e in Sardegna, infatti, restando sotto la soglia di sbarramento dell’8%, non è scattato il seggio per palazzo Madama. E in questo modo le sue truppe non servono neppure ad aiutare Pier Luigi Bersani a formare una maggioranza di governo. Un risultato che fa infuriare ancora di più il Pdl. Perché se il premier uscente avesse accettato di costruire una lista con Berlusconi il centrodestra avrebbe, con buona probabilità, vinto. “L’errore esiziale di Monti? – ha twittato l’ex presidente della Lombardia Roberto Formigoni – Non accettare di essere il federatore dei moderati come Ppe e Pdl gli domandavano. Da qui la sua sconfitta”. Ma il tonfo di Monti ha trascinato a fondo anche i suoi alleati. Pier Ferdinando Casini si è salvato solo perché si è candidato al Senato e in più Regioni, in modo di essere sicuro di far scattare, almeno in una, un seggio. Gianfranco Fini, invece, è rimasto fuori. E con lui altri esponenti storici del centrodestra migrati in Futuro e Libertà, da Italo Bocchino a Giulia Bongiorno a Fabio Granata. Discorso a parte merita la nuova Lega di Roberto Maroni. Al Senato ha ottenuto un risultato deludente, di poco superiore al 3 per cento, praticamente dimezzando i voti ottenuti nelle precedenti elezioni. Un risultato sul quale hanno influito sicuramente le indagini che hanno terremotato i vertici del Carroccio. E a poco, a questo punto, sembra essere servita l’operazione di pulizia avviata dall’ex ministro dell’Interno. Il quale, in questo modo, rischia anche nella competizione per la Regione. Una Lega così debole, nonostante la tenuta del Pdl, potrebbe non riuscire a battere il centrosinistra. Ma buona parte dei voti del Carroccio, forse addirittura tutti quelli che mancano nei conti di via Bellerio, sono finiti a Beppe Grillo. Il nuovo voto di protesta che ha “mangiato” il vecchio.

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