Nel più grande slum del Kenya si teme più la fame del coronavirus

16 aprile 2020

I residenti affollano le strade di Kibera, lo slum più esteso di Nairobi e del Kenya, tanto che lo attraversa una linea ferroviaria. Qui, dove abita il 60% dei residenti della capitale keniana, si vive a stretto contatto. C’è chi teme il coronavirus, ma la maggioranza teme di più la fame, mentre si discute se prolungare il coprifuoco notturno e renderlo un lockdown totale. Venerdì scorso in questa baraccopoli c’è stata una calca durante la distribuzione di aiuti e ci sono state diverse vittime, soprattutto donne e bambini. Ad Erick Okwama, responsabile Shofco (Shining Hope for Community), associazione di giovani che aiuta lo slum, è morto un amico: “Se imponi un lockdown per esempio nel paese com’è ora e in un insediamento di questo tipo e la gente non cambia le proprie abitudini, non comprende l’essenza e il significato di adottare le misure precauzionali. Anche se imponi un lockdown e non osservano le misure necessarie, è come se non avessi fatto nulla. La cosa più importante per me è far cambiare le abitudini alle persone e adottare i cambiamenti che sono stati richiesti”.

Intanto sui muri sono apparse scritte e disegni che illustrano le regole da seguire per evitare il contagio. “Se ci impongono un lockdown, come andiamo a procurarci il cibo? – si chiede Monica Ochieng, che vive a Kibera – Se dovesse avvenire, decideremo che è meglio uscire e morire di corona, piuttosto che morire di fame nelle nostre case, perché ora è possibile uscire a guadagnarci quel poco che ci serve almeno per cucinare un piccolo porridge per i nostri bambini. A meno che non abbiano dei piani per fornirci del cibo, allora ci diremo d’accordo”. Il Kenya finora ha isolato la capitale e alcune zone della costa e imposto un coprifuoco notturno e altre misure di distanziamento sociale. Misure che stanno avendo un impatto devastante, con perdita di lavoro tra i poveri, denuncia l’associazione.

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“Non possono rischiare di imporre un lockdown soprattutto a Kibera – dice preoccupata Nandy, che vive a Nairobi – che confina con almeno sette diversi quartieri fuori dallo slum. Non possono rischiare che la gente di questo slum patisca la fame e poi le violenze aumenteranno nei quartieri vicini e tutto questo porterà violenze negli altri slum, sarà un cataclisma”. Il coronavirus è arrivato tardi in Africa, ma sta lentamente prendendo piede con oltre 15.000 casi e 800 morti in tutto il continente. I paesi africani hanno tuttavia chiuso rapidamente i confini e vietato gli assembramenti. Mauritius, Rwanda e Tunisia sono stati i primi a imporre dei lockdown totali. Il Sudafrica è la maggiore economia del continente che ha completamente isolato i suoi cittadini, mentre la Nigeria ha imposto il lockdown a Lagos e nella capitale Abuja. Entrambe le città hanno milioni di persone che vivono compresse nelle baraccopoli locali.

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