Regeni ucciso in un carcere, sarebbe stato arrestato dalla polizia egiziana. La mamma: ho il cuore spezzato

Regeni ucciso in un carcere, sarebbe stato arrestato dalla polizia egiziana. La mamma: ho il cuore spezzato
5 febbraio 2016

di Francesca Musacchio

“Ti dico grazie, con il cuore spezzato”. Così, questa mattina la mamma di Giulio Regeni, Paola Deffendi che si trova ancora al Cairo con il marito, ha risposto a un messaggio di condoglianze arrivato da un amico della Bassa Friulana. In Friuli, intanto, si moltiplicano le attestazioni di loro e di vicinanza con la famiglia. “La morte di Giulio Regeni ci lascia sconvolti, siamo vicini alla famiglia e ai suoi cari. Resta ora l’auspicio che su questa tragica vicenda si faccia la dovuta chiarezza” ad affermarlo è il capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Diego Moretti. E comincia con un allarme sulla libertà di stampa nell’Egitto del presidente Al Sisi l’ultimo contributo di Giulio Regeni, pubblicato da Il Manifesto oggi, per la prima volta con il suo nome. Perché il giovane ricercatore italiano, ucciso al Cairo e con ogni probabilità torturato prima di morire, “temeva per la sua incolumità”, come ribadisce Tommaso di Francesco in prima pagina, e quando inviava dei materiali, chiedeva l’uso di uno pseudonimo. “Al-Sisi ha ottenuto il controllo del parlamento con il più alto numero di poliziotti e militari della storia del Paese mentre l’ Egitto è in coda a tutta le classifiche mondiali per rispetto della libertà di stampa”, scrive Regeni, che racconta la ‘resistenza’ dei sindacati indipendenti e in particolare un incontro presso il Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati (Ctuws), tra i punti di riferimento del sindacalismo indipendente egiziano. Il Manifesto ha deciso di pubblicare l’articolo, malgrado la famiglia di Regeni fosse contraria. Lo ha fatto, spiega il giornale, per testimoniare “sulla morte violenta” del giovane, “di fronte alle troppe reticenze ufficiose e ufficiali e alle gravi contraddizioni delle prime indagini tra la procura egiziana che conferma torture indicibili e il ministero degli interni del Cairo che le smentisce”. Ieri intanto le autorità italiane hanno chiesto una indagine congiunta ed esortato un veloce rimpatrio della salma, su cui sono stati ritrovati evidenti segni di tortura e prove di una “morte lenta”, come trapelato dopo i primi tentativi del Cairo di promuovere l’improbabile pista di un incidente stradale o di un omicidio a sfondo sessuale. Oggi nella capitale egiziana deve arrivare un team di inquirenti italiani. Al telefono con il premier Matteo Renzi, il presidente egiziano ha promesso “ogni sforzo” per arrivare a far luce sulla terribile vicenda.

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Regeni è morto in carcere dopo un violento pestaggio. Poi il corpo sarebbe stato gettato nel fosso in cui è stato ritrovato per sviare le indagini. È questa la sconvolgente ipotesi sulla morte di Giulio Regeni, scomparso in Egitto il 25 gennaio scorso. Stando a quanto riferito a Il Tempo da fonti locali, lo studente italiano sarebbe stato arrestato dalla polizia egiziana e portato in cella, anche se non è ancora chiaro con quale accusa. Qui sarebbe stato picchiato. Al momento del ritrovamento, infatti, sul cadavere erano evidenti i segni delle torture subite, confermate anche dalle indagini della procura di Giza, che ha disposto l’autopsia sul corpo per accertare le cause del decesso. Tutti elementi che condurrebbero verso la pista del pestaggio piuttosto che quella dell’incidente o della rapina finita male. Una versione non condivisa dal governo egiziano che per bocca di Ashraf al Anany, direttore dell’ufficio stampa del ministero dell’Interno, nella giornata di ieri ha smentito la ricostruzine della procura sostenendo che sul corpo di Regeni sono stati rivenuti solo lividi e abrasioni, ma non segni di tortura. La morte, probabilmente, non era nelle intenzioni delle forze dell’ordine locali, ma qualcosa è andato male facendo precipitare la situazione. Una ricostruzione terribile, che se fosse confermata aprirebbe una profonda crisi diplomatica tra Italia e Egitto, che già adesso si trova a doversi confrontare con la testimonianza di una giornalista egiziana che avrebbe assistito all’arresto di uno straniero alla fermata della metropolitana di Giza, a Il Cairo.

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A riferire quest’ultimo inquietante dettaglio è Giuseppe Acconcia, collaboratore de Il Manifesto, che conosceva Giulio perché anche lo studente collaborava con il quotidiano. “Può essere che Giulio fosse andato lì proprio per vedere se ci fossero ancora manifestazioni”, ha detto Acconcia ai microfoni di Radio Popolare, aggiungendo che aveva scritto più volte sotto pseudonimo perché “aveva paura per la sua incolumità”. Da chiarire, infatti, anche i legami e gli incontri che il 28enne aveva Egitto. Secondo quanto riferito da un amico egiziano del giovane, che ha parlato con il quotidiano filogovernativo Al-Ahram, Giulio voleva intervistare “attivisti per i diritti dei lavoratori” per la sua ricerca sull’economia egiziana. Forse qui potrebbe nascondersi la soluzione del giallo sul decesso dello studente italiano che si trovava in Egitto per un dottorato di ricerca sulla cultura Mediorientale. “Le autorità competenti egiziane prestano la massima attenzione” nelle indagini sulla morte di Giulio Regeni, ha dichiarato il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, nel corso del colloquio telefonico avuto con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Al -Sisi ha poi garantito a Renzi che l’Italia “troverà la collaborazione necessaria delle autorità competenti egiziane” per chiarire la vicenda. Intanto anche la Procura di Roma sulla vicenda ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di omicidio a carico di ignoti.

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Articolo aggiornato alle 13:15

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