Il Giappone non esce da progetto gas Sakhalin-2 con Russia

Il Giappone non esce da progetto gas Sakhalin-2 con Russia
13 marzo 2022

L’invasione russa dell’Ucraina e le pesanti sanzioni nei confronti di Mosca, che hanno portato molte imprese a fermare le loro attività e collaborazioni in Russia, non spinge il Giappone ad abbandonare il progetto di sfruttamento del giacimento di gas Sakhalin-2, che lo vede impegnato con Mosca. Secondo quanto scrive il Nikkei, i keiretsu (conglomerati) nipponici Mitsui e Mitsubishi non usciranno dal progetto neanche dopo che uno dei partner pesante, l’anglo-olandese Shell, l’ha abbandonato. I due conglomerati, assieme, detengono una quota del 22,5 per cento.

I motivi di questa riluttanza a uscire dsa questo progetto sono stati spiegati al Nikkei da una fonte nel METI, il Ministero dell’Economia, Commercio e Industria nipponico: “La posizione del Giappone sui suoi interessi a Sakhalin è totalmente differente da quella dell’Europa e degli Usa”. Il timore di Tokyo, sostanzialmente, è che “un frettoloso ritiro sia pericoloso” e “benefici Russia e Cina”. Sakhalin-2 è il principale progetto sul gas naturale liquido della Russia, con il gigante del gas Gazprom che ha una quota del 50 per cento. Shell – che ha annunciato il ritiro – ha il 27,5 per cento, Mitsui il 12,5 per cento e Mitsubishi il 10 per cento. Ma, cosa più importante per Tokyo, le forniture che garantisce questo giacimento (10 milioni di tonnellate annue), che ha iniziato la produzione nel 2009, vanno per il 60 per cento in Giappone.

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Si tratta di forniture cruciali per garantire la produzione di elettricità nipponica, che non può più contare – se non in maniera molto limitata – sull’apporto delle centrali nucleari per lo più ferme dopo l’incidente nucleare di Fukushima di 12 anni fa. Sakhalin-2 garantisce un risparmio notevole – il GNL da questo giacimento arriva in tre giorni ai rigassificatori nipponici, mentre quello dal Medio Oriente ci mette due settimane – e su di esso il Giappone ha puntato formalizzando contratti a lungo termine. Rinunciarvi, secondo una stima riportata dal Nikkei, porterebbe a un costo addizionale di 20 miliardi di dollari. E contribuirebbe a far aumentare ancor di più i prezzi dell’energia, già oggi in corsa. Inoltre, un ritorno potrebbe portare – secondo una fonte governativa citata dal Nikkei – a vedere la Cina “subentrare negli interessi”. Quindi, dal punto di vista di Tokyo, uscire da questo progetto, che comunque procederebbe, danneggerebbe il Giappone senza avere effetti sanzionatori sulla Russia. Anzi, accrescerebbe il peso russo nello sfruttamento delle risorse in Asia orientale, fornendo a Mosca una maggiore leva politica sulla sicurezza energetica.

Secondo il Nikkei, la stessa situazione si ripropone con il progetto di sviluppo di Sakhalin-1, un giacimento di petrolio, a cui partecipano le compagnie giapponesi Itochu e Marubeni. Il 40 per cento delle importazioni di petrolio russo (3,6 per cento di tutte le importazioni di greggio nipponiche) proviene da quella fonte. D’altronde, segnala il Nikkei, il Giappone sta guardando con attenzione quanto accade nell’Unione europea, che ha una forte dipendenza dal petrolio e dal gas russo e, quindi, ha esentato l’energia dall’apparato di sanzioni contro Mosca. Semmai il problema si proporrà se i paesi Ue procederanno sulla via dello stop all’acquisto di gas e petrolio russo: allora anche Tokyo potrebbe dover rivedere la sua strategia per evitare frizioni con gli alleati, di cui potrebbe esserci particolarmente bisogno in un prossimo futuro viste le tensioni che si stanno accumulando attorno a Taiwan e alle rivendicazioni cinesi.

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