Ue avvia infrazioni contro Italia su ambiente e inquinamento aria

Ue avvia infrazioni contro Italia su ambiente e inquinamento aria
2 luglio 2020

La Commissione europea ha inviato oggi all’Italia due lettere di messa in mora e un “parere motivato”, rispettivamente primo e secondo stadio della procedura comunitaria d’infrazione, per violazioni della legislazione ambientale dell’Unione. Le infrazioni riguardano rispettivamente la “direttiva Nec” del 2016 (Ue 2016/2284) sugli impegni nazionali di riduzione delle emissioni, relativa ai cinque maggiori inquinanti atmosferici, la direttiva del 2004 sulla responsabilità per danno ambientale (2004/35/Ce) e il regolamento del 2013 sul riciclaggio dei materiali ricavati dalla rottamazione delle navi (Ue 1257/2013). La direttiva Nec, in vigore dal 31 dicembre 2016, stabilisce che gli Stati assumano degli impegni nazionali di riduzione (rispetto al 2005, per il periodo 2020-29 e dal 2030 in poi) delle emissioni per i cinque più importanti inquinanti atmosferici: gli ossidi di azoto (Nox), i composti organici volatili non metanici (Covnm), il biossido di zolfo (So2), l’ammoniaca (Nh3) e il particolato fine (Pm2,5). La direttiva mira a ridurre di circa il 50% l’impatto negativo dell’inquinamento atmosferico sulla salute entro la fine del decennio, portando anche benefici significativi anche per il clima.

La direttiva ha modificato e sostituito la normativa precedente del 2001 che prescriveva un tetto fisso massimo annuo nazionale espresso in chilogrammi per ogni inquinante atmosferico. Il vecchio sistema dei tetti fissi si applica ancor fino al 31 dicembre 2019; dal quest’anno si passa alle riduzioni progressive in percentuale rispetto al 2005. Gli Stati membri erano tenuti a sottoporre alla Commissione entro il primo aprile 2019 i loro primi “Programmi nazionali per il controllo dell’inquinamento atmosferico”, da aggiornare poi almeno ogni quattro anni, e a scadenza più breve se lo richiedono nuovi dati. L’Italia, insieme Lussemburgo, è uno dei paesi più in ritardo per la notifica a Bruxelles del proprio Piano nazionale: nonostante i ripetuti richiami della Commissione nel maggio scorso ne aveva presentato solo una bozza. Italia e Lussemburgo hanno ora tre mesi per mettersi in regola.

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L’infrazione alla direttiva sulla responsabilità ambientale riguarda la mancata garanzia legale, nell’ordinamento italiano, del diritto per tutte le categorie di persone fisiche e giuridiche di ricorrere presso le autorità nazionali competenti affinché intervengano per prevenire o riparare i danni all’ambiente, con azioni correttive che devono essere imposte all’operatore responsabile. La direttiva garantisce anche che le conseguenze finanziarie dell’azione correttiva siano a carico dell’operatore economico che ha causato il danno. In una sentenza pregiudiziale del giugno 2017, Corte europa di giustizia ha chiarito che il diritto di inoltrare ricorso (causa C-529/15) deve essere garantito a tutte le categorie di persone fisiche e giuridiche che abbiano un diritto o un interesse a prevenire o riparare il danno all’ambiente. La Commissione ha quindi verificato se la legislazione di tutti gli Stati membri lo garantisce effettivamente, e ha concluso che questo non avviene in ben 16 Stati membri, fra cui l’Italia.

Gli altri paesi sono Austria, Belgio, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Spagna, Slovacchia, Slovenia e Svezia. Tutti questi Stati membri hanno ora tre mesi per porre rimedio alla situazione. La terza procedura d’infrazione di oggi contro l’Italia in campo ambientale, infine, è un “parere motivato”, ultimo avvertimento prima del ricorso in Corte europea di giustizia, per la mancata adozione di misure volte a prevenire l’elusione del Regolamento sul riciclaggio dei materiali della navi dopo la loro rottamazione, e in particolare di un regime di sanzioni applicabili a chi viola queste norme Ue. Il regolamento in questione (Ue 1257/2013) mira a garantire che tutte le navi di grandi dimensioni che battono bandiera di uno Stato membro dell’Ue siano riciclate in modo sicuro e sostenibile. Le vecchie navi possono essere una fonte redditizia di rottami metallici e altri materiali, con una riduzione dell’estrazione e dell’uso di materie prime vergini. Tuttavia, se non è eseguito correttamente e in modo controllato e regolamentato, lo smantellamento delle navi può provocare gravi danni alla salute umana e all’ambiente costiero.

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Il regolamento Ue mira a evitare questi rischi, disponendo che gli Stati membri designino le autorità competenti e le amministrazioni responsabili della sua applicazione. L’Italia era in ritardo su quest’obbligo e aveva già ricevuto una lettera di messa in mora da parte della Commissione, a cui ha risposto con la designazione delle autorità competenti e delle persone di contatto, come richiesto. Ma la risposta italiana non ha soddisfatto la Commissione riguarda alle predisposizione di un meccanismo sanzionatorio per chi viola o elude le norme Ue in questo campo: la legislazione proposta in questo senso è ancora solo una bozza. La Commissione ha dato tre mesi di tempo all’Italia per porre rimedio alla situazione.

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