Leader dell’opposizione Guaidò si dichiara Presidente. E arriva il sostegno anche degli Usa

24 gennaio 2019

“Giuro di assumere formalmente i poteri nazionali dell’esecutivo come presidente ad interim del Venezuela fino alla fine dell’usurpazione, la creazione di un governo di transizione e lo svolgimento di libere elezioni”: così il leader dell’opposizione venezuelana e presidente del Parlamento, Juan Guaidò, ha dato un passo forse decisivo per far crollare il governo di Nicolas Maduro, la cui rielezione ad un secondo mandato è stata ritenuta illegittima da quasi tutta la comunità internazionale. E, intanto, sono almeno 13 i morti negli scontri con la polizia in Venezuela.

Immediatamente dopo l’annuncio di Guaidò, nel corso di una manifestazione dell’opposizione a Caracas cui partecipavano decine di migliaia di persone, è giunto il riconoscimento dell’Organizzazione degli Stati americani, per bocca del suo segretario Luis Almagro, e soprattutto dell’Amministrazione Trump, un segno che l’iniziativa era stata quanto meno comunicata in anticipo a quelli che l’opposizione considera i suoi principali alleati all’estero. Trump in particolare ha ribadito l’intenzione di “usare tutto il peso del potere economico e diplomatico degli Stati Uniti per sollecitare il ripristino della democrazia venezuelana” e fonti dell’Ammnistrazione hanno sottolineato come “tutte le opzioni siano sul tavolo” nel caso che il governo di Maduro decidesse di usare la forza.

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Sulla scia dell’Osa e di Trump Brasile, Argentina, Cile, Colombia, Perù, Paraguay, Costa Rica, Guatemala e Canada hanno deciso di riconoscere Guaidò come legittimo presidente ad interim del Paese; solo il Messico di Andres Manuel Lopez Obrador, uno dei pochi rappresentanti della sinistra al governo nel continente, ha ribadito il proprio sostegno a Maduro, almeno “per il momento”, ribadendo il principio di “non interferenza” nelle questioni interne degli atri Paesi, così come la Bolivia di Evo Morales che ha denunciato “l’imperialismo” degli Stati Uniti. L’Unione Europea al momento tace, in attesa di definire una posizione comune dei propri Stati membri.

Maduro da parte sua ha chiesto ai suoi sostenitori di scendere in piazza in una veglia davanti al palazzo presidenziale, ribadendo di essere il legittimo Capo dello Stato e che “solo il popolo può mettere un presidente, solo il popolo può toglierlo”, elencando tutti i colpi di Stato orchestrati nel passato dagli Stati Uniti, che ha accusato di voler instaurare nel Paese un “governo marionetta”: “Non vogliamo tornare al XX secolo, no al golpismo e all’imperialismo”. Maduro ha annunciato quindi di voler rompere immediatamente i rapporti diplomatici con Washington; dal governo di Caracas non però è giunta per ora alcuna effettiva reazione interna a quanto accaduto, al di là di un’iniziativa della Corte Suprema – assai vicina all’esecutivo come buona parte della magistratura – di lanciare un’inchiesta penale sui deputati dell’Assemblea Nazionale, controllata dall’opposizione ma di fatto esautorata da ogni potere.

Non è infatti chiaro di quale sostegno goda Maduro nel Paese, in preda al collasso economico: solo due giorni fa un gruppo di 27 militari che si erano sollevati contro il governo sono stati arrestati rapidamente prima che la situazione degenerasse, ma scontri anche violenti si sono verificati negli ultimi giorni fra polizia e manifestanti in quartieri della capitale che prima erano roccaforti indiscusse del “chavismo”. D’altronde, lo stesso discorso vale anche per l’opposizione: nonostante la crisi, fino ad ora nessuna delle iniziative anche di massa degli ultimi mesi ha portato ad un qualche effettivo risultato politico se non ad un sostegno dall’estero e in particolare dagli Stati Uniti che agli occhi di non pochi sudamericani, sensibili all’argomento del colonialismo e dell’imperialismo – non a caso subito rilanciati da Maduro e anche dallo stesso Morales nel suo messaggio di sostegno – rimane sempre sospetto.

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L’ago della bilancia resa dunque l’esercito, al quale Maduro ha lanciato un appello chiedendo “massima lealtà, massima unione e massima disciplina”: il regime ha sempre avuto cura di trattare con i guanti i militari, i cui vertici sono stati ricompensati con ottime paghe e onorificenze in cambio della fedeltà al compagno d’armi Hugo Chaves prima e a Maduro – assai meno carismatico agli occhi dell’establishment militare – poi; inoltre il governo può contare anche su alcune formazioni paramilitari. Tuttavia qualsiasi utilizzo su grande scala della forza, pro o contro l’opposizione, rischierebbe di trascinare il Paese in un bagno di sangue e magari di provocare un intervento estero e un conflitto civile e regionale in piena regola: sembra più probabile quindi che se i militari decidessero di accettare l’implicita offerta di Guaidò e di ritirare il proprio sostegno a Maduro insisteranno comunque su una soluzione politica alla crisi.

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