Referendum 23 giugno. Cosa accadrebbe se vincesse la Brexit?

Referendum 23 giugno. Cosa accadrebbe se vincesse la Brexit?
20 febbraio 2016

David Cameron canta vittoria, e non può fare altrimenti in vista di una campagna elettorale che si annuncia al vetriolo, ma i sondaggi non danno affatto per scontata la vittoria del ‘sì’ al referendum sulla Brexit, ovvero sulla sua permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea. Come ha annunciato lo stesso primo ministro, il referendum si terrà il prossimo 23 giugno. E se alla fine i sudditi di Sua Maestà dovessero scegliere di uscire dall’Unione Europea? Incubo per gli eurofili, liberazione per gli eurofobi, il divorzio reale tra Ue e Londra rappresenterebbe in realtà un salto nel vuoto, dato che mancano precedenti e precisi scenari per l’uscita dal club europeo. Nei giorni scorsi il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha dichiarato che “non c’è piano B” e certo voleva dire che la Gran Bretagna è destinata a restare nell’Ue. Ma se dovesse vincere il partito della Brexit, cosa accadrebbe? Bisognerebbe in buona parte improvvisare. Se vincerà il “no” alla permanenza nell’Ue, infatti, il Regno Unito si ritroverà fuori dall’Ue e dallo spazio Schenghen e con tutta una serie di trattati bilaterali da rinegoziare e concludere con l’Unione, oppure con i suoi singoli Paesi membri. Per questo scenario, è stata prevista nelaccordo concluso ieri sera una “clausola di autodistruzione”. A quel punto le due parti, prevede il Trattato di Lisbona, devono negoziare l’uscita, con colloqui che possono durare al massimo due anni, salvo mutuo accordo per tempi supplementari. Da tali colloqui dipenderebbe in gran parte il seguito e l’esito: innanzitutto se la Gran Bretagna debba restare o meno nello Spazio Economico Europeo (SEE) sul modello di Norvegia o Islanda, quindi parte del mercato unico.

Il SEE, stipulato nel 1994, permette ai Paesi non Ue ma aderenti all’Associazione Europea di Libero Scambio di partecipare al Mercato Europeo Comune. La City, prima piazza finanziaria in Europa, non vuole la Brexit. E da tempo studia gli scenari in caso di un voto favorevole all’uscita dall’Ue. Il presidente del gruppo bancario HSBC, Douglas Flint, ha prospettato da parte sua, in caso di uscita dall’Ue, la “delocalizzazione” oltremanica, con 1.000 dipendenti da trasferire a Parigi. Secondo uno studio del think tank Open Europe, la Brexit costerebbe alla Gran Bretagna almeno un punto in meno di Pil nel 2030. E l’abbandono del mercato unico e dell’Unione doganale “non sarebbe compensato dalla conclusione di un nuovo accordo commerciale con l’Ue”. Il governo britannico (in caso di ‘sì’ alla Brexit con ogni probabilità non sarebbe più guidato da David Cameron) potrebbe allora scegliere la via della liberalizzazione commerciale e della deregulation. Ma aprire le frontiere alla concorrenza dei Paesi con manodopera a basso costo sarebbe in totale contraddizione con la volontà di limitare l’immigrazione e i benefit a chi aspira a trasferirsi e lavorare nel Regno Unito, punto cruciale del negoziato Ue-Gb delle ultime settimane. La Gran Bretagna, una volta fuori dall’Ue, recupererebbe comunque il totale controllo delle sue frontiere e sarebbe da attendersi una limitazione dei flussi migratori da tutti i Paesi, compresi quelli dell’Est europeo, contemporaneamente a un ridimensionamento delle prestazioni sociali per i nuovi arrivati.

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Già questo è previsto dall’accordo raggiunto ieri sera a Bruxelles, con cui Londra ha ottenuto di poter applicare una clausola di salvaguardia che le consentirà di escludere dal godimento immediato delle prestazioni sociali nazionali i lavoratori immigrati da altri Paesi Ue. Questa esclusione sarà temporanea, per la durata minima di quattro anni prorogabile fino a un massimo di sette. Non è certo prevista per ora, invece, la reintroduzione dei permessi di soggiorno e di lavoro, che tornerebbero in auge con la Brexit. Insomma, moltissimo, se non tutto, da vedere. Anche perchè il parlamento londinese a quel punto potrebbe abolire le regole Ue incorporate nella legge britannica. Un’altra quasi certezza sarebbe l’organizzazione di un nuovo referendum in Scozia sull’indipendenza e questa volta vincerebbe il partito della secessione dal Regno e la permanenza in Ue, altro scenario di grandi incognite. Tra le tante possibili conseguenze di un passo britannico nella terra per ora sconociuta della marcia indietro dall’Ue potrebbe spuntare l’abbandono del sistema metrico, imposto dall’Europa nel 2009: il ritorno delle misure “imperiali” sarebbe una vittoria certamente per il gruppo di pressione che si è battezzato “Martiri dei metri”.

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