Amanda Knox: dai media trattata da sporca e drogata puttana, non assolvo nenache lo Stato italiano

15 giugno 2019

Offrire allo spettatore “un mostro”, ancora prima di farlo entrare nell’aula di un tribunale, per comparire davanti al giudice e difendersi come vuole la legge. In Italia è possibile. Perché nei casi di cronaca nera, accanto al processo penale, si svolge abitualmente un “processo mediatico”, che antepone i “pregiudizi” alle prove e agli interrogatori. A testimoniarlo al Festival della giustizia penale di Modena è stata un’icona del linciaggio massmediatico, Amanda Knox, la giovane americana prosciolta nell’ottobre 2011 dalla corte d’Assise d’appello di Perugia assieme all’allora fidanzato Raffaele Sollecito in ordine all’accusa di omicidio della studentessa Meredith Kercher, avvenuto nella notte del 1 novembre 2007. Ma il rito di “bollare preventivamente come mostro” chi è coinvolto in un processo penale, ha interessato negli ultimi 25 anni oltre 50mila persone, tante quante le domande di riparazione per ingiusta detenzione presentate allo Stato, che soltanto nel 2017 ha dovuto rimborsare per oltre 34 milioni di euro, come ha ricordato il presidente della Camera Penale di Modena, Guido Sola, uno degli del festival

“Raffaele e io siamo stati marchiati dai titoli giornali, per sempre colpevoli al giudizio dell’opinione pubblica – ha spiegato Amanda Knox, parlando a Modena a una platea di circa mille persone -. Sono stata dichiarata innocente, eppure lo so che sarò sempre legata alla tragedia della morte della mia amica. Vengo insultata ogni volta che mi addoloro per lei. Vengo insultata come se il mio essere viva, il mio stesso respiro fosse un affronto alla memoria di Meredith. Vengo rimproverata ogni volta che i media parlano di me invece di Meredith come se io fossi quella a scrivere i titoli sui giornali”. Questi sono solo alcuni dei “costi” che la giovane di Seattle ha dovuto sostenere a causa di una “storia falsa” e “confutata in laboratorio dalla più alta corte di questo paese”. Un paese che, nonostante tutto, Amanda continua ad amare. “Alcuni hanno persino affermato che solo stando qui con la mia presenza sto traumatizzando nuovamente la famiglia Kercher e profanando la memoria di Meredith. Si sbagliano – ha detto l’ex studentessa, interrompendo più volte il suo discorso per l’emozione e le lacrime -. E il fatto che io continui, nonostante la pronuncia della cassazione, ad essere ritenuta responsabile in questo modo per il dolore dei Kercher e per la reputazione di Perugia, dimostra quanto possono essere potenti le narrazioni false e come possano minare la giustizia specialmente quando sono rinforzate ed amplificate dai media”.

Ma i media – è venuta a dire la Knox nel dibattito sul “processo penale mediatico” a cui hanno partecipato anche il presidente nazionale dell’Ordine forense, Andrea Mascherin, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Vinicio Nardo, e la rappresentante di Italy Innocence Project, Martina Cagossi – possono anche rivelare e amplificare la verità, se solo i giornalisti hanno il coraggi di seguirla, di cercarla e se il pubblico la richiede. A Perugia non è andata esattamente così. “Questa immagine fornita dai media sensazionale e diffamatoria è entrata anche in aula creando un circolo vizioso – ha spiegato Amanda Knox -. Prima ancora che iniziasse il mio processo io ero sepolta sotto una montagna di fantasia da Tabloid. Dalla mia cella io potevo solo soffrire in silenzio, senza voce, mentre innumerevoli giornalisti e mi vestivano ogni giorno per innumerevoli reati immaginari”. In questo modo “l’inchiesta è stata contaminata. La giuria è stata corrotta. Era impossibile per me avere un processo giusto”.

E, ancora più grave, “nonostante tutta l’attenzione che questo caso ha ricevuto in tutto il mondo, un numero sorprendente di persone non ha mai sentito il nome di Rudy Guede”, l’unica persona ad essere condannata per l’uccisione di Meredith Kercher. Questo perché, secondo l’americana, da sempre “polizia, il pm e i media e il pubblico hanno concentrato la loro attenzione su di me”. La Corte di cassazione le ha dato alla fine ragione, così come la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato la Repubblica italiana per aver violato il diritto di difesa di Amanda. “Sono grata – ha detto -. Ma tutto questo non assolve lo Stato per avermi processata per otto lunghi anni con poche o nessuna prova, una teoria assurda e il vero assassino già dietro le sbarre. E non assolve i media che hanno raccolto un immenso profitto vendendo una storia scandalosa, trasmettendo uno spettacolo, mentre il mio vero processo era ancora in corso”.

Il suo ritorno in Italia (assieme al fidanzato) dopo undici anni ha anche una funzione terapeutica, quella di ricordare quanto vissuto in carcere e del suo rapporto di amicizia nato con don Saulo Scarabattoli, a lungo cappellano della sezione femminile del carcere di Perugia: “E’ stato un esempio per me, mi ha insegnato a coltivare una mentalità comprensiva, attenta a capire. Ho combattuto per arrivare a questo traguardo personale con la mentalità basata sulla gratitudine”. Infine una parola per il pm che per mesi ha portato avanti l’accusa “un giorno – ha detto Amanda – mi piacerebbe incontrare il vero dott. Giuliano Mignini e spero che quando arriverà quel momento anche lui potrà vedere che io non sono un mostro, ma sono semplicemente Amanda”.

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